RASSEGNA STAMPA

Di Maio non è estremista Calenda segretario? No...

12.03.2018

Intervista rilasciata a Elisa Calessi, pubblicata su Libero

Il Pd ha preso una batosta. Tutta colpa di Renzi?
«No, ma chi guida inevitabilmente assume su di sé la responsabilità finale del risultato. È sempre stato così. Dopo di che sono andati male tutti i partiti tradizionali. Gli unici vincitori sono la Lega al Nord e il M5S al Sud: dall' Abruzzo alla Sicilia è stato un plebiscito».

Il Pd, però, passa dal 40% delle Europee al 18% di oggi. Perché?
«Sicuramente hanno pesato la linea politica di Renzi e le scissioni conseguenti».

Visto il risultato di Liberi e Uguali, non si può dire che l' addio di Bersani e D' Alema abbia pesato molto.
«Ha pesato il fatto che questo gruppo dirigente non è stato all' altezza della storia dell' Ulivo e del centrosinistra. Dal '94 in poi si è provato ad aggregare culture diverse, attorno al collante della centralità della persona e del solidarismo. Il Pd doveva essere il punto di partenza di aggregazioni ulteriori».

Invece?
«Quella missione si è arrestata».

Non sarà che il popolo vi abbandonato? Ormai il Pd è votato solo dai benestanti.
«Se il Pd è arrivato nel 2014 al 40%, voleva dire che era diventato un partito di massa».

Poi cosa è successo?
«È diventato un partito-persona, si è abbandonato il "noi" per l' "io-io-io". A ciò si è aggiunta una serie di errori incredibili. A cominciare dal referendum costituzionale che Renzi cavalcò e per non intestarsi la sconfitta alle amministrative di Napoli e di Roma».

Renzi ha detto che sono stati compiuti due errori: una campagna elettorale tecnica e non aver votato nel 2017. Ha ragione?
«No. Le campagne elettorali sono il risultato di come sei percepito, di quello che hai fatto e di quanto sei credibile. Non avendo cambiato schema di gioco - non avendo indicato un altro candidato premier per tempo - gli italiani hanno percepito la proposta politica del Pd come sintesi degli ultimi tre anni».

Avrebbe dovuto indicare Gentiloni premier?
«Bisognava farlo prima di chiudere le liste. E non sono d' accordo con l' idea che bisognasse votare nel 2017. Intanto lo decide il presidente Mattarella e comunque non si poteva votare prima di fare un congresso serio».

Adesso cosa deve fare il Pd? Stare fuori da tutto o sostenere almeno dall' esterno un qualche governo?
«Intanto il Pd deve ritrovarsi con il proprio popolo e poi deve andare all' opposizione perché li ci hanno mandato gli italiani. Il governo lo devono provare a fare i vincitori: Luigi Di Maio e Matteo Salvini».

Ma se non ci riescono?
«Il Pd deve restare all' opposizione. L' unica cosa che può fare è avere la responsabilità, pur non entrando nel governo, di dare al massimo un appoggio esterno. Ma solo a un governo del M5S su temi chiari e condivisi».

E se Salvini rinunciasse al fare il premier, potreste valutare un appoggio esterno a un governo di centrodestra?
«Lo escludo. Con un centrodestra a guida Salvini che predica l' uscita dall' Euro, non è possibile. Le distanze sono troppi grandi».

Renzi, però, ha detto di no a tutti gli "estremisti": Salvini, ma anche Di Maio.
«Di Maio ha preso dall' Abruzzo in giù un voto su due degli italiani. Dargli dell' estremista è come dare degli estremisti al 50% degli italiani che abitano dall' Aquila in giù. Però il punto è un altro. Noi ci ritroviamo in questa situazione per deficit di ascolto e di politica vera, che è l' opposto dei tweet e dei selfie».

E cos' è?
«È inclusione, capacità di mettere insieme le persone.
Zingaretti ha vinto lo stesso giorno in cui siamo stati massacrati. Perché ascolta, include. Emiliano in Puglia ha una coalizione che va da Sinistra Italiana all' Udc».

Zingaretti può essere un leader dopo Renzi?
«Ci sono molte personalità capaci nel Pd. Penso ci saranno molte candidature. Abbiamo bisogno di un congresso vero e in tempi adeguati. Non in fretta e furia come l' ultimo».

Calenda?
«Ha una visione così lontana dalle esigenze vere del Pd che faccio fatica a pensarlo come segretario di un partito che deve occuparsi degli ultimi. Non so se ai Parioli c' è mai stata una sezione del Pd».

Martina reggente è una soluzione convincente?
«È il vicesegretario ed è il reggente naturale. È sempre stato così in passato. Con Franceschini dopo le dimissioni di Veltroni, con Enrico Letta dopo quelle di Bersani. La reggenza di Letta durò pochissimo perché fu nominato premier e l' assemblea nominò Epifani. Ora è necessaria la massima unità dei gruppi dirigenti con un ufficio politico che rappresenti tutte le anime».

Renzi si è dimesso: può ancora condizionare il Pd?
«Spero che sia Renzi il primo ad aiutarci a costruire una nuova stagione, a una transizione comune per arrivare a un congresso entro fine anno. Se non dovesse essere così, penso che la maggioranza attuale si spaccherà. Le dichiarazioni di Zanda sono state il suggello della fine di una stagione politica».

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