RASSEGNA STAMPA

PD è rivolto al futuro. Il passato è stato giudicato dagli elettori

21.07.2019

Articolo pubblicato su Huffington Post

 

Agli italiani, ai militanti del PD e ai tanti elettori stanchi del governo del caos Lega-M5S che chiedono un’alternativa, non interessano dibattiti sul passato o ricette già provate. Il passato è stato giudicato dagli italiani il 4 marzo 2018. Noi abbiamo il dovere di indicare la strada che porta l’Italia ad essere protagonista nel mondo di oggi e di domani. Il PD digitale avrà questa straordinaria funzione e tutti coloro che avranno voglia di dare una mano lo facciano a prescindere, senza chiedere cosa è più utile o conveniente per loro ma se quel contributo rende più credibile il PD e più forte il Paese.

La portata straordinaria dell'economia digitale sul funzionamento del capitalismo globale impone una riflessione politico culturale profonda. Il più grande errore che potremmo commettere sarebbe quello di andare incontro alla rivoluzione del capitalismo globale a compartimenti stagni: gli industriali per conto loro, i sindacati indipendentemente dalle trasformazioni in atto nella catena del valore in numerosi settori, così come gli artisti da un lato e i giornalisti dall'altro, sportivi, blogger, che ritengono di non aver bisogno di regole, come se i diritti d'autore riguardassero solo alcuni talenti e non altri, e poi ancora medici, insegnanti a vari livelli, commercianti. L'analisi politica non può essere solo culturale ma deve toccare tutti cambiamenti della società. È questa la sfida culturale che ha lanciato il PD guidato da Zingaretti nell’ultima assemblea nazionale. Chi c’era l’ha colta ed è al lavoro; sono già centinaia i contributi arrivati dai nostri militanti; chi non era presente non serve che vada in Silicon Valley, basta vivere con noi tra gli straordinari politecnici di Bari, Milano e Torino e nei tanti centri di informatica, fisica e ingegneria per aiutare l’ecosistema italiano a rafforzarsi. In Silicon Valley dovremmo andare per chiedere alla maggior parte delle multinazionali del web di pagare le tasse che eludono o evadono.

Con le autostrade telematiche il mondo è in movimento ogni istante della nostra vita e conosce tutto di tutti. La rete risolve alcuni problemi, ma ne pone a sua volta degli altri: equità fiscale, diritti, riservatezza, tracciabilità, regole di funzionamento del commercio, criptovalute che superano i confini degli Stati. Non ci salverà l'algoritmo, ma ci salveranno gli esseri umani che sapranno utilizzare l'algoritmo in nome e per conto del benessere della collettività. La dematerializzazione della ricchezza necessita di un approccio radicalmente nuovo e l’intelaiatura fiscale che regola i rapporti tra i vecchi Stati nazionali, società e imprese deve adattarsi alle nuove regole del mercato. Dalla musica al cinema, dalla finanza ai media. Dal commercio elettronico al turismo, alla cultura. Dalla sanità alla sicurezza, ai giochi. Una rivoluzione radicale in corso di usi, costumi, business e stili di vita. Tocca al PD, vera alternativa a alla stagione Lega-M5S, spingere la politica italiana ed europea nel trovare il coraggio di regolare le distorsioni. La politica europea ha la grande responsabilità di non aver capito in tempo l'impatto dell'economia digitale sul fisco e sulla trasformazione del lavoro. Oggi chi rinvia le decisioni o asseconda le multinazionali del web è loro connivente e danneggia con i rinvii famiglie, imprese italiane e consumatori.

Non c’è più distinzione tra economia reale e economia digitale. Tutta l’economia è digitale. In questa società digitale, i dati valgono, spesso, più del cemento o dell'oro. Va fatta una battaglia politica seria in Europa per la portabilità dei dati; dati che appartengono a chi li genera e non a chi li gestisce facendo business. I dati dello Stato considerati sensibili, legati ad ognuno di noi, dall'anagrafe, alla salute, dal fisco, alla giustizia devono essere tenuti in cloud pubblici gestiti dalla Repubblica e non da soggetti privati che possono utilizzarli per rafforzare i propri interessi.

Non essere in grado di interpretare la rivoluzione sociale digitale significa alzare bandiera bianca di fronte alla concentrazione di valore e di potere del nuovo capitalismo globale che spesso utilizza tecnologie, risorse finanziarie e informazioni che non detengono nemmeno i governi dei grandi Paesi. In quel caso, il passaggio dal game power al game over è automatico. In questo contesto si inserisce il Dipartimento Economia e società digitale e, operativamente, il nuovo PD digitale, fortemente voluto dal segretario Zingaretti; il PD digitale è per il momento una vera e propria startup che ricostruirà, amplierà e connetterà attraverso tutti gli strumenti tecnologici disponibili iscritti, militanti, elettori e semplici cittadini che vogliono conoscere le proposte o dare un contributo di idee. Il PD digitale, attraverso una moderna piattaforma web, dalla filosofia diametralmente opposta alla sterile ‘commentocrazia’ di Rousseau, costruirà una vera e propria agorà sulla rete sempre connessa e in grado di partecipare attivamente ad ogni decisione del Partito Democratico. Da questo punto di vista l’utilizzo offensivo dei social e la gestione della  Rai finalizzata ad alterare l’informazione appaiono fuori dal tempo, inadeguate e hanno il tempo contato.

Nello scenario politico italiano, più passano le settimane e più gli strumenti di attacco verso gli avversari di Salvini e della Lega diventano evidenti e facilmente analizzabili. Presto diffonderemo informazioni e genesi di tutti i meccanismi sottostanti. Come più passano i mesi e gli anni, più le opacità di Rousseau si consolidano. Di Maio in questi giorni ha insistito nell’annunciare al mondo intero che farà votare la riorganizzazione del M5S sulla piattaforma Rousseau commettendo una gaffe imperdonabile. Dice che si farà certificare il voto non da uno ma da ben due notai. Per la verità potrebbe anche chiederlo a dieci notai, la sostanza non cambierebbe: non è il risultato finale comunicato da Casaleggio e Di Maio che necessita di una certificazione ma tutto il processo di voto che resta opaco e necessita di un controllo. Invitiamo ancora una volta Di Maio a rendere open source il codice di Rousseau.

Far certificare a un notaio ‘ciò che viene trasmesso in video’ (sono le parole imbarazzate dette alla stampa dal notaio dopo l’ultima votazione su Rousseau) equivale a trasformare un notaio in un presentatore televisivo. Serve certificare l’algoritmo e lo svolgimento regolare della consultazione con un audit terzo; un notaio, che ha altre caratteristiche, non è uno sviluppatore e senza strumenti non è in grado di farlo.

Serve dare potere all’autorità garante ma il M5S si oppone a qualsiasi proposta normativa. Oggi scopriamo che tornano sul tema vendendo sempre la stessa bufala: chiedono il voto ma non si sa a chi, per far decidere cose già decise, fingendo di far partecipare un certo numero di persone che, però, non sono verificabili in alcun modo. E, ovviamente, gli stessi elettori non hanno alcuna garanzia sull’esito del voto perché nessuno potrà mai controllare. Immaginiamo il povero notaio, anzi questa volta due, che dovranno scrivere su carta le cose che saranno apparse in un video. Come se fossimo al tempo del commodore 64, forse in quel caso avrebbe avuto un senso far certificare a un Notaio ciò che appariva in video. Durante la Costituente delle Idee il Pd presenterà al Paese il progetto aperto e trasparente della comunità in rete. E vedremo giorno per giorno le differenze tra opacità e trasparenza e tra commentocrazia e partecipazione democratica. Per queste e tante altre ragioni il Pd ha bisogno di energie per il futuro e non di sterili e inutili discussioni su un passato già giudicato dagli elettori nel 2018.

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