RASSEGNA STAMPA

Le tasse su Internet pagarle dove è giusto

11.11.2013

da Repubblica.it

Caro Direttore, credo che con tre semplici e chiari articoli di legge sia possibile affrontare e risolvere un tema di assoluta rilevanza: non permettere che a società estere sia consentito di pagare le tasse nei Paesi dove hanno sede legale, (ovviamente con un’imposizione fiscale nettamente più conveniente) anziché in quelli dove operano. Il tema riguarda in primo luogo l’enorme mercato della vendita di beni e servizi online e l’acquisto dei cosiddetti search advertising, gli spazi pubblicitari che appaiono nelle pagine dei motori di ricerca. Questo è il senso di una proposta che vogliamo portare all’attenzione del Parlamento e il cui contenuto potrebbe essere oggetto di approfondimento anche all’interno dell’esame della legge di stabilità. Una contribuzione nel Paese dove si traggono profitti è, fra l’altro, in linea con i principi generali di analoghe proposte presentate in altri Paesi europei e va incontro alle gravi difficoltà degli operatori che mantengono le loro sedi nell’Unione europea

Non si tratta di aumentare l’imposizione fiscale, ma di creare regole uguali per tutti: è inammissibile che migliaia di piccole e medie imprese italiane continuino a pagare regolarmente le tasse mentre ad altri soggetti, in molti casi molto robusti, è consentito fare profitti non tassati. Per questo credo che sia fuorviante battezzare questa proposta google-tax o amazon-tax. La definirei piuttosto un’azione di contrasto alla concorrenza sleale.

Entrando in modo più specifico sui contenuti, la proposta è in linea con la disciplina europea. Si tratta di obbligare il committente, nel caso sia soggetto passivo di imposta, ad acquistare da un soggetto fornito di partita Iva italiana. Non si obbliga perciò l’apertura di una partita Iva a soggetti passivi di imposizione in Paesi extraeuropei. L’impostazione non contrasta né con una direttiva europea del novembre 2006, né con il decreto legislativo del 2010 che ne ha recepito le disposizioni. In quel testo, infatti, si chiarisce, al di là di ogni dubbio, che “non si considerano effettuate nel territorio dello Stato le prestazioni di servizi (nell’elenco rientrano anche le prestazioni pubblicitarie) quando sono rese a committenti non soggetti passivi”. Altre considerazioni hanno riguardato il possibile gettito ricavabile dall’introduzione delle norme. Non voglio imbattermi in pronostici di alcun tipo. Sono convinto però che sparare cifre come 50-60 milioni di introiti complessivi possa esser fatto soltanto da chi non ha un’adeguata conoscenza del fenomeno - mi limito a dire che dovremmo evitare di calcolare anche un solo euro di possibili entrate, ma impegnarci a riservare tutto ciò che entrerebbe per abbassare la tassazione sul lavoro.

Peraltro quelle sul web sono operazione effettuate con mezzi diversi dal denaro contante e quindi facilmente tracciabili. Insomma, bisogna regolare finalmente un mercato di vaste dimensioni che ad oggi presenta dei forti elementi di iniquità e ingiustizia in una fase nella quale dobbiamo uscire dalla crisi reperendo più risorse da settori che hanno goduto in questi anni di una situazione di beneficio, determinando una regolamentazione equa e moderna per il futuro. E non esistono mediazioni: si tratta di decidere se si è dalla parte dell'equità oppure no. Alle forze politiche l'ardua sentenza. * Presidente della commissione Bilancio della Camera

CONDIVIDI QUESTO ARTICOLO



LEGGI ALTRI ARTICOLI