“Ogni delocalizzazione è una sconfitta dello Stato e di tutti noi, indipendentemente dal colore politico, lo è ancora di più se l’azienda in questione, in questo caso la Martor di Brandizzo dell’indotto FCA, non delocalizza a causa della crisi economica ma per ragioni di possibile maggior profitto. Adriano Olivetti ha insegnato, proprio partendo da quel territorio straordinario, ai politici e agli imprenditori italiani cosa dovrebbe essere un’azienda con responsabilità sociale. Credo che sarebbe utile rispolverare ancora oggi quell’insegnamento. Sottoporrò il caso dei lavoratori Martor al ministro Patuanelli, che sarà già informato attraverso i suoi uffici, perché se l’azienda ha fatto accordi per ristrutturazioni, ottenuto incentivi dicendo ai sindacati che avrebbero fatto determinate cose poi non realizzate, decidendo di delocalizzare, allora è evidente che stanno facendo una cosa scorretta”. Così il ministro per gli Affari regionali e le autonomie, Francesco Boccia, in un’intervista a L’Aria che Tira, su La7 in collegamento con i lavoratori della Martor.
“Sul lungo termine, però, - ha aggiunto il ministro Boccia - lo Stato, per non dare alibi a nessuno, deve abbassare notevolmente il costo fiscale del lavoro, così come il Pd dice da sempre, aumentando i salari netti, per permettere alle nostre aziende di essere competitive con gli altri Paesi dell’Unione europea. Resto convinto che se concentrassimo tutte le risorse di quota 100, degli 80 euro e della parte di Reddito di cittadinanza che non funziona per gli anni successivi al 2021 a riduzione delle tasse sul lavoro, ne gioverebbe il Paese intero”.
In generale "Penso di poter parlare perché non devo pentirmi di nulla essendo tra i pochi a non aver votato la delega al Jobs act. Posso con tranquillità affermare che quella riforma, insieme al dl cosiddetto dignità, sono due provvedimenti inadeguati rispetto al tempo che viviamo. Due provvedimenti nati sulla scia della propaganda politica che, anziché indicare una nuova strada, indicava il nemico da abbattere. In un caso l'articolo 18, sbagliando; nell'altro caso, per Di Maio l'ossessione di dimostrare di fare una cosa diversa da Renzi facendo un altro errore di approssimazione.
Quando si parla di lavoro si deve sempre partire dai diritti e dalla corretta lettura della società in cui si vive; nella società del capitalismo digitale serve una visione moderna che non c'è in entrambe le riforme e soprattutto un'idea di impresa e di giustizia sociale. In questa legislatura, se dovesse andare avanti, ci sarà tempo e modo per intervenire e correggere le distorsioni di un capitalismo digitale sempre più arrembante, che dà nuove opportunità ma crea inevitabilmente nuove disparità e nuove povertà, a cui né il jobs act né il decreto dignità hanno saputo dare risposte".