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26.06.2009 - “Addio Lingotto” - Il Foglio

26.06.2009

“Addio Lingotto”

Articolo di Francesco Boccia apparso su Il Foglio il 26 Giugno 2009

Dire la verità sull'Italia, dire la verità sul partito, a questo deve servire il prossimo congresso del Partito Democratico. C'è un deficit di credibilità, di leadership, di politica. Potrei dire che il PD ha bisogno di un nuovo inizio e che la strada percorsa fino ad ora è stata in realtà un inefficace girare in tondo.

Ma a ben riflettere se c'è una parola vecchia del lessico politico di questi anni, una parola esaurita, incapace di evocare alcunché di forte e di vero, una parola insomma di cui non se ne può più, ecco, questa è la parola "nuovo". In nome del nuovo, del nuovo inizio, del nuovo conio, della nuova stagione è stato detto e fatto tutto e il contrario di tutto. In realtà siamo rimasti fermi, ci siamo illusi di entrare in una storia nuova, ma la storia andava avanti e noi rimanevamo nelle vecchie trincee.

Per questo non abbiamo bisogno di un nuovo inizio ma di un vero inizio. Il Partito che ha visto la luce il 14 ottobre infatti è stata una finzione. Un abbaglio. Un'illusioneottica. La verità è che si è cominciato da subito a smantellare l'unico vero percorribile progetto riformista in campo. Quello guidato pur con evidenti limiti e difficoltà da Romano Prodi. Le prime mosse del PD dopo l'ottobre 2007 cominciano infatti con una diserzione. Il PD doveva essere il baricentro della coalizione, doveva dimostrare capacità di attrazione di mediazione, di sintesi; ne è stato invece il deflagratore. Un partito chiamato all'egemonia si è dimostrato assolutamente incapace di egemonia. Tutto questo espresso da una leadership ispirata dal tatticismo più che da un vero e proprio progetto. È ora di dire davvero come sono andate le cose, senza remore e senza opportunismi: al Lingotto non è natala speranza di una nuova Italia, al Lingotto si è seppellito l'unico tentativo possibile di costruzione di una egemonia riformista nel nostro paese.

Per questo motivo, in quel momento storico non ho seguito il blocco dell'unanimismo intorno alla proposta Veltroni. Per questo la generosità politica di Enrico Letta e Rosy Bindi in quella fase storica, riletta oggi assume un grande significato politico.

Nel mese di novembre del 2007, il mese dei morti, è stato fatto risuscitare (per la seconda volta in 15 anni) un Berlusconi, che allora sì, era veramente allo sbando, allora si era veramente al declino, allora sì era veramente finito. Era uno, è bene ricordarlo che aveva definito la propria coalizione un ectolplasma. Fu fatto resuscita e per pavidità, per debolezza, inseguendo impossibili nuove leggi elettorali -anche qui ritorna come un'ossessione la parola "nuovo" - per essere poi, di fatto e per l'ennesimavolta, illusi giocati, raggirati.

Con Berlusconi non ci si accorda: Berlusconi si batte e basta su un'idea diversa di società e di Paese. Questa è la prima verità da cui dobbiamo ripartire. Questo è il lascito politico e morale dell'Ulivo e di Romano Prodi. Bisogna partire da queste verità per capire gli errori, e tanti, e continui,che sono stati fatti in meno di due anni e provare a ridare senso e slancio ad un progetto politico nato come sogno ulivista e durato 15 anni.

Un sogno di milioni e milioni di persone, trasformatosi via via in un qualcosa di imbarazzante, da evitare di cuivergognarsi.Al prossimo segretario politico del Partito Democratico non si chiede quindi di seguire Berlusconi sul suo campo, facendosi figlio di un berlusconismo minore. Al prossimo segretario si chiede, e ce lo chiedono tanti militanti del Partito Democratico, di mettere in campo un progetto, un'alternativa di società veramente capace di creare senso comunne, come oramai solo Berlusconi è stato in grado di fare. Una società che garantisca diritti a tutti, a partire da chi in questo momento è privo del diritto elementare di vivere in sicurezza lontanto da guerre e persecuzioni. Ma i diritti di tutti i cittadini si garantiscono anche a partire dal corretto funzionamento dello stato e delle sue istituzioni, perché solo attraverso questo si rende effettivo il godimento dei diritti. Ma i nostri militanti ci chiedono anche altro. Ci chiedono di rompere quella cappa di ipocrisia sul conflitto di interessi che coinvolge anche molti amministratori locali del PD. E' necessario ricucire il filo tra etica e politica, affinchè la trasparenza non sia solo predicata ma praticata. Solo così la nostra politica sarà sì anti-berlusconiana, ma perché radicalmente differente nei fatti e nei metodi. Sono tanti i nodi irrisolti che questa nuova stagione si porta appresso. Sulla laicità dello stato siamo stati tiepidi, se non silenti ma il Partito Democratico deve partire dal naturale riconoscimento dei credi religiosi anche sul piano pubblico per arrivare a riconoscere la neutralità etica dello Stato. Nel rapporto con le organizzazioni di rappresentanza, sia datoriali che dei lavoratori, non abbiamo ancora deciso se vogliamo continuare con il vecchio colleteralismo o affermare finlemente l'autonomia della politica da quelle organizzazioni. A loro è demandata la rappresentazione degli interessi particolari, a noi la risoluzione dei conflitti che questi diversi interessi causano.

E qua arriva forse il nodo centrale. Negli ultimi 20 anni la politica è stata subalterna all'economia. Tutto si può dire della prima repubblica ma non che non delimitasse con forza il confine tra impresa, mercato e società. Un partito che ritorna ad essere il baricentro di un campo di forze riformatrici, non può che ritrovare il dialogo con l'Italia della manifattura, l'Italia che produce, l'Italia che trasforma e farla uscire dal pantano nel quale oggi si trova.. Oggi l'Italia delle veline è alleata con l'Italia degli operai, della piccola e media impresa, l'Italia che rischia, investe, innova. Il PD deve riuscire a rompere questa alleanza dimostrando che è un'alleanza che non ci porta da nessuna parte, anzi che ci porta solo al declino. Il PD deve rompere le suggestioni dell'approccio di un centrodestra populista ormai logoro, dimostrando che la realtà ormai sta mettendo a nudo l'inconsistenza di quella narrazione.

Non ci si può consolare allora con le conferme cittadine di Firenze e di Bologna quando poi si perde nei distretti industriali di Prato e Sassuolo.Esiste poi un ultimo spazio di subalternità al berlusconismo. Anche nelle nostre dinamiche interne abbiamo scelto di alzare bandiera bianca e di considerare il modello di partito del leader come l'unico possibile e praticabile.

La nuova stagione ha voluto fare di questo partito uno strumento a disposizione del leader e di un pezzo di nomenclatura romana, abbandonando al proprio destino segretari provinciali e circoli territoriali, salvo poi chiamarli a Roma nel ruolo di supporter o di fans. E allora perché non destinare il 50% del lauto finanziamento che lo stato concede al nostro partito alle strutture territoriali più periferiche? Di carne sul fuoco ce ne è parecchia per una competizione che potrebbe essere questa volta finalmente vera.

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