Basta con l'era dei Roberspierre
Articolo di Francesco Boccia apparso su La Gazzetta del Mezzogiorno del 16 dicembre 2009
La feroce aggressione al presidente del consiglio, colpito vigliaccamente mentre stava salutando i suoi sostenitori, non può essere catalogata semplicemente tra i fatti di cronaca dell'anno. Il lucido editoriale del direttore De Tomaso ieri ha aperto gli occhi a quanti, anche e soprattutto in alcune frange dell'opposizione, continuano a sostenere i movimenti degli ultrà contro il governo rispetto a un atteggiamento di fermo, determinato anche duro contrasto rispetto alla maggioranza in carica. Un esecutivo, però, legittimamente autorizzato a essere al suo posto e a compiere il suo mandato non in virtù d'una legge divina, ma del consenso popolare. E' la democrazia, bellezza, verrebbe da dire: potrà non piacere eppure è la democrazia nata dalla Resistenza e dalle virtù di quanti, da schieramenti anche opposti, si sono sempre battuti per la difesa delle istituzioni e degli interessi comuni. E' la democrazia fondata sul rispetto dell'altro, sullo studio e l'analisi dei provvedimenti e non sui manganelli o sulle molotov o sulle statuine scagliate contro chi ci sta antipatico o contro chi suscita addirittura "odio" come affermato dall'attentatore di piazza Duomo che a mio avviso non va derubricato sotto la voce "psicolabile" o "imbecille" ma va inquadrato in un contesto sociale nel quale la coltivazione dell'odio anche fisico verso l'avversario è testimoniata dalle decine di migliaia di persone che hanno sottoscritto appelli per la santificazione di Massimo Tartaglia.
Tutto ciò non fa ridere, ma piangere, o meglio fa provare rabbia per la deriva d'una democrazia e d'una società che si sono nutrite nel corso della storia dei sacri fondamenti dei padri della filosofia e della tolleranza e adesso sono alle prese con l'ignoranza profusa a piene mani da chi vorrebbe sostituire le urne elettorali col giacobinismo alle vongole. No, tutto questo non è ammssibile: i tribuni del popolo (che hanno sempre la pancia molto più piena di quella del popolo che dicono di rappresentare) non ci hanno mai affascinato ma è questo il momento storico di isolarli e confinarli nel loro cortile autoreferenziale.
Ha detto benissimo il segretario nazionale del Pd, Pierluigi Bersani: condanniamo l'aggressione senza se e senza ma. E' questa la linea di un partito moderno e di governo come il Pd che rivendica il suo diritto-dovere all'espletamento di una ferma opposizione parlamentare ma deve allontanare al più presto le dannosissime scorie di un'intolleranza morta e sepolta dalla storia e dalla cultura democratica di questo paese.
L'appello di Bersani a un confronto civile è l'unica strada da seguire ed è la sola posizione ufficiale del Pd che, stavolta e da ora in poi, non può continuare nella politica dei distinguo, dello spaccare il capello di quattro o in dieci, del considerarsi partito di governo ma anche di lotta. No, questi sono schemi da vignette satiriche e la nuova generazione che sta contribuendo alla costruzione di un partito riformista europeo, non può non respingere la vecchia politica e quanti, voci che gridano nel deserto, riescono anche in questa occasione e rendersi ridicoli e ambigui.
Da condannare, però, anche l'intolleranza di alcuni pasdaran del Pdl che vorrebbero trasformare la brutale aggressione a Berlusconi in un processo in piazza contro i cosiddetti cattivi maestri e fomentatori d'odio. Alcuni colleghi del centrodestra non fanno altro che ripetere, da sponde opposte, l'errore di alcuni nostri amici e compagni di partito. E' questo, invece, il momento della riflessione interna per entrambi gli schieramenti e non per fare l'ennesimo stupido gioco su chi è più liberale, ma per liberare i nostri partiti da intossicazioni ideologiche che sono venute giù col Muro di Berlino e non possono riemergere col nostalgismo peloso di quattro fanatici. Vorrei parlare di casa nostra. Il Pd ha l'assoluto urgente bisogno di recidere immediatamente le radici con quell'assurdo criterio di superiorità morale che ci rende non solo antipatici, ma realmente provinciali. Se siamo convinti di rappresentare al meglio le esigenze degli italiani dobbiamo farlo non in virtù dell'appartenenza a una casta di paria ma perchè siamo, anzi dovremmo essere in grado di costruire un'alternativa di governo con piattaforme politiche e non manifestazioni di piazza. Che sono utili sino a quando intendono protestare contro una politica non condivisibile, abbastanza folkloristiche invece quando vengono allestite contro una persona seppur da avversare.
Da Silvio Berlusconi e dal suo governo ci dividono alcune cose molto chiare: la politica economica sulla quale abbiamo esercitato un'opposizione durissima in commissione e in Parlamento; la politica sulla giustizia che a nostro avviso deve considerare tutti i cittadini eguali dinanzi alla legge; la politica estera che secondo noi non può prescindere dalla valutazione dei diritti umani anche a scapito dell'utile di qualche commessa industriale; la politica energetica che secondo noi deve puntare al rinnovabile del futuro e non al vecchio nucleare; le politiche della sanità e della scuola per le quali, però, andrebbe prima fatta una serie autocritica essendo il centrosinistra corresponsabile di molti degli sfasci di questi anni. Ecco, questo è ciò che ci divide dal governo. E il governo non può essere mandato a casa dalle urla, ma dai voti che si raccolgono quando si presenta e quando soprattutto si riesce a spiegare compiutamente, un piano di governo del Paese che sia innovatore, moderno, rispettoso della sua tradizione costituzionale ma molto aperto al futuro. Ecco, questa è la missione di un partito europeo, riformista, cattolico e socialista. Questo è scritto nel suo dna, questo è scolpito nei pilastri della sua cultura storica ed è questo che non faremo deturpare dai Robespierre in cerca d'autore a sinistra e a destra.