La bomba derivati Il Riformista
Articolo di Francesco Boccia pubblicato su «Il Riformista» il 3 settembre 2010
Trentaseimiliardi di derivati su 110 di debiti locali. Il dato, purtroppo non definitivo, è parziale. Tra le istituzioni ci ha provato seriamente solo Bankitalia nel 2009 rilevandone 24, poi qualche tentativo di università e centri di ricerca. Mai una certificazione seria e solenne del Governo. Per non parlare della totale assenza di informazioni e dati degli swap fatti sul debito pubblico dello Stato dai Governi di turno. Sul nostro fardello di 1.822 miliardi di debito i danni potrebbero essere incalcolabili. Su questultimo aspetto non esistono informazioni e lomertà del Governo appare ogni giorno più preoccupante.
Ma torniamo ai debiti certi e ai danni provocati sui debiti locali dai derivati. Per il Ministero dellEconomia non ci sono numeri, la Corte dei Conti, nonostante la buona volontà, annaspa di fronte alle gravi lacune della normativa, lAbi tace come sempre. Ogni tanto arriva a chiusura un contratto e sono dolori. Mark to market si dice; in realtà si tira una riga e si capisce chi ha vinto la scommessa e chi lha persa. La perde quasi sempre lamministrazione pubblica e del resto non potrebbe non essere così per come quei contratti sono stati concepiti, costruiti e sottoscritti. Questa è lennesima eredità nascosta della finanza creativa del decennio che abbiamo alle spalle e che ha avuto tra gli autorevoli padri oltre al ministro Tremonti (2001-2004), gran parte dei banchieri di questo decennio, i principali sindaci e presidenti di Regione che hanno accettato di far correre rischi alle proprie comunità. Nel 2007 il Governo Prodi, tra una montagna russa e laltra della maggioranza che lo sosteneva, riuscì a fissare alcuni punti fermi sulle garanzie non consentendo più alle banche di estorcere ai comuni le «delegazioni di pagamento» (garanzia che consente il pagamento dei debiti finanziari prima degli stipendi) sui derivati.
Un anno dopo Tremonti, rinnegando la sua creatura di inizio decennio, dichiarava: «Sospendiamo luso dei derivati e garantiamo che entro un anno, con un regolamento, disciplineremo la materia»; quella dichiarazione si trasforma in norma, entra nel famoso 112 del 2008 (la manovra economica pi imponente di questo Governo) e da allora silenzio assoluto. Sono passati due anni. Del regolamento non cè traccia. Nuovi derivati non si fanno più nella pubblica amministrazione locale, sono bloccati, ma i vecchi stanno arrivando a destinazione e ogni anno da qui al 2020 saranno dolori. Il costo lo pagheranno i cittadini che hanno il diritto di sapere se ci sono stati errori, truffe, raggiri o come è successo in alcuni casi tentativi di raddrizzare una barca che faceva già acqua. Le città coinvolte sono tante. Catania, Milano, Torino, Roma tra le grandi. Le Regioni più grandi praticamente tutte e con rischi molto seri.
Il Pd ha presentato nel 2009 una proposta di legge che ha raccolto oltre 80 firme di deputati di tutti i partiti, per uno stop ai derivati con lobbligo di emersione dei risultati. In altre parole la necessità di chiarire subito attraverso il mark to market di tutti i contratti in essere la condizione effettiva dei bilanci locali. Abbiamo tentato in tutti i modi di calendarizzare la proposta, ma come accade quasi sempre in Parlamento, il ministro Tremonti dice una cosa (la lotta alla finanza di carta) e poi gira la testa dellaltra parte, soprattutto se alcune banche non sono daccordo.
Noi siamo ancora lì. Abbia il coraggio di portare in aula la nostra proposta, di migliorarla come crede, ma per una volta di affrontare concretamente un problema serio che rischia di far molto male ai soliti noti: gli elettori inconsapevoli che ignari di tutto questo si sono fidati di sindaci e presidenti di regioni che raccontavano belle favole.