Caro Matteo,
iniziamo dalla fine. Se un'insegnante o un poliziotto, magari con figli, guadagnano poco, molto poco, allora vorrà dire che non spenderanno. Evito di sottolineare cosa significa questa scelta di bloccare ancora salari già bloccati da anni per un servitore dello Stato o per un'insegnante, prestatori d'opera specializzati nel rappresentare lo Stato ogni giorno. Ma torniamo a noi: se gli italiani non spenderanno, le aziende continueranno ad accumulare perdite e produrranno di meno. Si sommeranno altre chiusure e licenzieranno dipendenti. La cassa integrazione dovrà pagarla lo Stato e per farli tornare al lavoro non basterà un decreto, ma bisognerà aspettare e sperare che qualche altra azienda abbia bisogno di loro.
Caro presidente, ti scrivo da Chicago dove ho chiuso un ennesimo lavoro sulla tassazione dell'economia digitale. Una mia fissa, direbbe qualcuno. No, semplicemente, il tentativo di far pagare ai potenti, alle multinazionali del web ciò che oggi non hanno mai pagato e che le imprese italiane, pagano e tanto: le tasse. Qui negli USA, a differenza nostra il dibattito è aperto, non è omertoso solo perché da fastidio a qualcuno. Finalmente si sono resi conto che la voragine sui mancati introiti delle "consumption taxes" penalizza fortemente gli Stati e le città. E sai di cosa si parla? Di "sales taxes" e "Vat", sì,proprio di quell'IVA che noi abbiamo bloccato con un tweet dopo averla introdotta, dicendo che avremmo risolto tutto in Europa. Ora l'Europa la guidiamo noi e la soluzione come da impegno va presa.
Siamo nella crisi economica più complessa e al tempo stesso più interdipendente della storia moderna dell'occidente. Avremmo dovuto affrontarla con un'Europa unita. Le scelte economiche di questi mesi e il semestre a guida italiana sarebbero una straordinaria occasione. Sono passati due mesi dei sei. La mossa della Bce che ha tagliato i tassi sino all'inverosimile (se l'avessimo ipotizzato solo una decina d'anni fa nelle aule universitarie ci avrebbero internato) è l'ultima, davvero l'ultima. Poi non c'è più nulla, se non il burrone della deflazione che ingoia tutto, distrugge i prezzi, i prodotti, gli stipendi. Da queste sabbie mobili non ci si tira fuori con una paletta a scavare fango. No, ci vuole uno scatto di reni straordinario, come si dice, un colpo d'ala imprevisto e imprevedibile. Se non l'avessimo già provato in questi 7 mesi di governo, diremmo che ci vorrebbe un guizzo alla Renzi segretario vincitore delle primarie.
Ma quel Renzi ora è premier che decide. E allora cosa fare? In attesa del partito, parliamo di economia e dei nostri doveri verso gli italiani che governiamo, ai quali non potremmo dire che non ci siamo capiti perché non siamo riusciti a parlarci a causa della corsa continua nella quale siamo finiti.
I ragionieri di Stato, eccellenti professionisti, hanno ragione nel farti trovare sulla scrivanie tabelline pitagoriche che fotografano le difficoltà che stiamo vivendo. Ma quelli sono numeri, solo numeri. Dietro le cifre ci sono uomini senza lavoro, mamme disperate, giovani che vagano per le strade. Non siamo un paese senza futuro, stiamo semplicemente perdendo il presente. E non basta dire investiamo sul buon umore e sulla speranza: per cancellare le paure servono solo fatti. Alla politica delle suggestioni gli italiani hanno sempre pagato un tributo pesante.
Come ho sempre sostenuto che la politica redistributiva fatta con gli '80 euro, va sostenuta con forza anche nei prossimi anni (e gli effetti li vedremo nel 2015), così oggi ti dico che il blocco degli stipendi pubblici in tempi di deflazione è un errore grave. Quel taglio produrrà solo danni e nessun beneficio. Siamo in deflazione e le ultime 6 leggi di stabilità o finanziarie, hanno sempre previsto tagli lineari alla spesa e blocchi contrattuali di varia natura. La lotta all'evasione è sempre stata relativa, gli investimenti pubblici sono diminuiti a causa di uno stupido patto di stabilità e i fondi strutturali per le regioni del sud sono diventati di fatto sostitutivi, quando vengono spesi, delle risorse ordinarie.
Il debito ha continuato a crescere e dibattiti sullo sviluppo possibile, sulle privatizzazioni e sulle liberalizzazioni non si contano più. Draghi e la Bce hanno fatto quello che potevano. A breve ci saranno (speriamo molto presto e con vincoli seri a favore di imprese e famiglie) le Targeted Long Term Refinancing Operation finalizzate all'immissione di liquidità nel sistema, ma senza chiare politiche espansive, questi sforzi rischiano di trasformarsi nell'ultima beffa contro la deflazione. È evidente che la prossima volta sarà difficile andare sotto questi livelli di costo del denaro e in quel caso lo scenario sarebbe simile ai tempi più bui vissuti dal Giappone al tempo della deflazione.
La risposta alla crisi deve venire dalle politiche economiche e anche le richieste più volte fatte da Francoforte o dalle principali istituzioni finanziarie, vanno decise nelle sedi parlamentari. A partire dal Parlamento Europeo. Le riforme che impattano profondamente sulla società devono avere un'assunzione di responsabilità politica. E non capire oggi che solo politiche espansive accompagnate da riforme strutturali coraggiose possono portarci fuori dal guado è politicamente sbagliato. L'Italia ha già dato e con risultati fallimentari: la deflazione più volte annunciata come rischio, oggi è nelle nostre case. I tagli lineari annunciati, la riduzione del cofinanziamento comunitario e il blocco degli stipendi pubblici, rischiano di vanificare qualsiasi sforzo di ripartenza.
La questione non è ragionieristica, ma politica. Serve qualcuno in grado di indicare la strada a Bruxelles. Perché da Bruxelles a Roma la strada indicata e' sempre la stessa. E poiché sei il presidente di turno dell'Unione è arrivato il momento di capire se vogliamo cambiare utilizzando l'unica arma che ci resta per ridurre le imposte oltre al taglio della spesa e delle privatizzazioni a singhiozzo: l'aumento controllato e concordato del debito per due anni. Sapendo che discutere parallelamente di Eurobond oggi non può essere considerata un'eresia, anzi, è un'esigenza non più rinviabile.
Lasciamo crescere leggermente il debito, così come abbiamo fatto in occasione dei pagamenti dei debiti Pa per tagliare drasticamente le tasse, a imprese e famiglie. Chi non le paga, si accomodi pure in galera. Ma gli altri, tutti gli altri paghino di meno. E vedrai che appena il paese tornerà a crescere, il debito andrà giù naturalmente e rapidamente. Non vogliamo aumentare per il 2015 i contratti agli statali? (Ribadisco la mia convinzione che si tratta di un errore). Facciamo almeno arrivare loro più soldi in busta paga usando la leva fiscale. Chiama i sindacati, non ci si vergogna del confronto, forse non è trendy, ma qui non è in ballo una nuova moda, ma una soluzione per il paese che può e deve anche essere concordata con sindacati e opposizioni se ci stanno. Se alla bufera macro e microeconomica aggiungiamo anche l'apertura del fronte delle proteste sociali, potremmo anche chiudere qui.
Te lo ripeto, caro Matteo: sei stato l'uomo giusto per la nuova sinistra italiana alla fine di un ciclo politico.
Hai anche stravinto le europee e con orgoglio lo ricordi ogni giorno ai tuoi interlocutori, forse anche quando non serve. Un'intera generazione andava fisiologicamente sostituita democraticamente; il gruppo dirigente andava scosso, modernizzato e certamente cambiato, ma non fatto diventare oggetto di scherno o addirittura di pulizia etnica. Hai colto più e meglio di altri, con indubbio coraggio il momento giusto. Spero sempre, come penso milioni di democratici, che questo patrimonio non si disperda per mancanza di ascolto. Sì, di ascolto anche di quelli che non la pensano nello stesso modo: nel proprio partito, nella società tra lavoratori e imprese, negli stessi partiti di opposizione.
Forse avremmo avuto bisogno di più tempo per costruire un'idea riformista del paese. E il dibattito di questi giorni tra i nostri dirigenti lo testimonia. Tagliare qua e là, nell'attuale situazione, serve solo ad accelerare il soffocamento da deflazione. Occorre un colpo d'ala, forte e imprevisto. Ci serve quello. Ci serve un Renzi candidato segretario in grado di aiutare il premier da sinistra. Tutto questo accade in un contesto internazionale che decide di sanzionare la Russia sulla delicatissima vicenda Ucraina, infischiandosene delle migliaia di aziende e dei rapporti commerciali. Proprio quelle aziende, unica nostra vera speranza per agganciare la crescita senza decreti e senza suggestioni ma solo facendo il nostro dovere. Ma questo, quello della vicenda Ucraina, forse è un tema che il segretario avrebbe potuto approfondire se il premier gliene avesse dato il tempo. Ma quel tempo non c'era, bisognava decidere.
E anche in fretta. Secondo me, troppa. Con l'amicizia di sempre.