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11.06.13 - TOBIN TAX, DISASTRO ANNUNCIATO ( Da Italia Oggi del 11/06/2013 pagina 23 )

11.06.2013
Altro che un miliardo di euro all’anno. La Tobin tax nella migliore delle ipotesi incasserà non più di 300 milioni, creando così un bel problema di gettito per le casse dello stato. Il governo Monti, che ha introdotto la tassa sulle transazioni finanziarie a partire dallo scorso 1° marzo, contava di incassare 85 milioni di euro al mese e invece ne porterà a casa al massimo 25. Man mano che ci si avvicina alla fatidica data del 16 luglio prevista dalla legge di stabilità 2013 come primo appuntamento per il versamento dell’imposta, la certezza che il bilancio per l’erario sarà molto magro diventa sempre più forte. E l’esigenza di ripensare complessivamente a tutta l’architettura del tributo si impone. Magari approfittando dell’extra-time richiesto dalle associazioni di categoria del mondo finanziario (Abi, Aibe, Confindustria, Ania, Assogestioni, Assonime, Assosim, Febaf e Assiom Forex) che ieri hanno scritto al ministro dell’economia Fabrizio Saccomanni per chiedere una proroga. Francesco Boccia, presidente della commissione bilancio della camera, e da sempre uno dei maggiori fautori della Tobin, analizza con ItaliaOggi le ragioni del flop. Senza dimenticare gli altri grandi temi dell’attualità economica, dalla riforma dell’Imu (sempre più probabile l’accorpamento con la Tares per realizzare un tributo unico che unisca la componente immobiliare con quella sui servizi sul modello della «Council tax» inglese) alla spending review, senza dimenticare la semplificazione della p.a. più che mai necessaria in tempi di crisi.
Onorevole Boccia, il 16 luglio si avvicina e per la Tobin tax è tempo di passare all’incasso, ma anche tempo di primi bilanci. Le stime parlano di un flop. Lo conferma?
Confermo che la tassa sulle transazioni finanziarie sta andando male. La ragione è evidente. Troppe operazioni sono rimaste fuori dall’area di imposizione del tributo che in pratica così com’è si applica solo alle azioni (e nemmeno a tutte restando esclusi i titoli delle società con capitalizzazione inferiore a 500 milioni di euro, il che fa applicare la Tobin solo a una settantina di titoli quotati a piazza Affari ndr) e ai derivati su azioni. Sono rimasti fuori i titoli di stato, ma soprattutto le operazioni di speculazione e i day trader. La mia proposta è sempre stata quella di applicare un’aliquota molto più bassa (0.01%) ma su tutto. Il governo Monti però è stato troppo sensibile alle richieste di parte e ne è venuto fuori un ibrido.
Visto il gettito modesto e la richiesta di proroga da parte degli operatori, non crede sia giunto il momento di ripensare complessivamente all’architettura del tributo?
Il gettito modesto crea problemi di tenuta per le casse dello stato, soprattutto in un periodo in cui il governo Letta è impegnato a trovare risorse per finanziare l’alleggerimento della pressione fiscale sui cittadini (dalla sospensione dell’Imu al blocco dell’aumento dell’Iva). Tuttavia, ritengo che se in Europa si dovesse arrivare a una sintesi adeguata su alcuni temi finora divisivi (la Germania è contraria alla tassazione dei derivati, la Francia alle operazioni intraday, l’Italia vuole salvare i titoli di stato ndr), si potrebbe anche prendere in considerazione l’idea di una sospensione della Tobin fino al 2015 in attesa che l’Ue si dia regole comuni. Ma a quel punto bisognerà capire dove trovare la copertura per compensare il gettito, seppur modesto, mancante.
E di problemi di copertura il governo Letta ne ha già tanti… Basti pensare alla riforma dell’Imu da realizzare entro agosto. Quali saranno gli orientamenti della maggioranza?
L’idea di accorpare in un solo tributo Imu e Tares cresce ogni giorno di più. L’obiettivo è realizzare un tributo sulla casa che non tenga conto solo del valore dell’immobile ma anche dei servizi che riceve dal comune, anzi parametri il primo in funzione dei secondi. In quest’ottica sarà indispensabile portare a compimento la delega fiscale di Monti nella parte relativa alla riforma del catasto. E realizzare un vero federalismo fiscale lasciando ai sindaci ampia libertà di manovra sulle aliquote.
Dal fronte delle entrate a quello delle uscite, ci sarà una nuova spending review? O continuerete nel solco tracciato dal governo Monti che però, a detta di molti, ha introdotto tagli lineari mascherati con risparmi di spesa?
Noi siamo contrari alla logica dei tagli lineari, ma al tempo stesso crediamo che debba essere il parlamento a farsi carico di indicare al governo la strada su dove e come tagliare. E non il contrario come accaduto in passato. Da questo punto di vista l’istituzione dell’Ufficio parlamentare di bilancio (l’organismo indipendente per la verifica degli andamenti di finanza pubblica istituito dalla legge 243/2012 ndr) rappresenta una grande occasione da non perdere. Una chance per avere la certezza che parlamento e governo lavorino insieme sulla razionalizzazione della spesa improduttiva. Sarà compito di questa nuova authority indicare i parametri di crescita e finanziari del paese. Ma per farla partire dal 2014 bisogna mettersi al lavoro subito, sin da settembre. Bisogna evitare che resti l’ennesima riforma incompiuta.
Insomma, onorevole, sta proponendo che sia il parlamento a farsi carico della spending review. Ma nella scorsa legislatura, un pilastro della spending review Montiana, ossia l’accorpamento delle province, è stato affossato proprio dalle camere. Altri tempi?
La mia è una sfida che voglio lanciare assieme al presidente della commissione bilancio del senato Antonio Azzollini. Insieme dovremo rielaborare il lavoro che le singole commissioni di merito faranno sull’individuazione della aree di spesa improduttiva. In questo modo non si scaricherebbe più sul governo l’onere dei tagli, ma sarebbe lo stesso parlamento a farsene carico. E questo darebbe più forza all’azione di razionalizzazione. Quando vuole il parlamento sa lavorare egregiamente. Lo dimostra quanto accaduto col decreto pagamenti (si veda altro pezzo in pagina ndr). Se doveva essere il primo test politico per la maggioranza che sostiene il governo Letta, direi che meglio non poteva andare: 508 voti a favore e nessun contrario. Anche le opposizioni (M5S, Sel e Lega) hanno votato un provvedimento che rispetto a come era stato concepito dal governo Monti è stato totalmente rivoluzionato e semplificato dalle camere. A beneficio delle imprese e degli enti locali.
A proposito di enti locali, i sindaci si sentono sempre più soli nel fronteggiare la crisi. Ad Ercolano si è consumata l’ennesima tragedia della disperazione innescata dal rifiuto da parte del comune di rilasciare una licenza. La scorsa settimana in audizione il ministro della funzione pubblica Giampiero D’Alia ha illustrato dati allarmanti sulla «facilità del fare impresa» in Italia. Nella graduatoria stilata dalla Banca Mondiale il nostro paese occupa il 25° posto sui 27 dell’Ue e l’84° su scala mondiale. Cosa può fare la politica per invertire questa tendenza?
Deve capire che la burocrazia non può rappresentare un freno alla libertà di imprese. Le licenze non vanno chieste al sindaco, vanno autocertificate. Nei paesi civili basta dichiarare di essere in regola per ottenere il via libera in un giorno. Chi dichiara il falso, poi, la paga cara, come è giusto che sia.

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