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30.05.2010 - "Il governo non ponga la fiducia e l’opposizione farà la sua parte" - L’Unità

30.05.2010

Il governo non ponga la fiducia e l’opposizione farà la sua parte.

Articolo di Francesco Boccia e Paola De Micheli, pubblicato su «l’Unità» di domenica 30 maggio.

Consapevolezza e responsabilità. È intorno a queste due parole-chiave che si articola la posizione del PD sulla manovra. La consapevolezza, piena, dei rischi che il Paese attraversa, con i sacrifici che gli si prospettano per scongiurare la «deriva greca». E la responsabilità, altrettanto forte, di fare il nostro dovere dall’opposizione, confrontandoci con il governo sul merito delle questioni per migliorare il testo e renderlo meno iniquo e depressivo. Senza pregiudiziali. Ma a una condizione: niente voto di fiducia. In caso contrario il nostro no sarà senza appelli.

Quanto accade in queste ore disegna uno scenario a noi noto da tempo: il prezzo della crisi è stato, è e sarà altissimo. E da parte del governo riconoscerlo ora sull’onda del panico scatenato dagli attacchi degli speculatori equivale a un’ammissione di colpa. La colpa di aver sepolto la verità sotto tonnellate di rassicurazioni e sorrisi. Il colorito plumbeo del premier, costretto dall’Europa (e da Tremonti e Letta) negli abiti per lui strettissimi del «risanatore», la dice lunga sugli errori di prospettiva, e fors’anche di calcolo, fatti in questi due anni.

Accanto al suo pallore, sono i numeri a darci la narrazione più brutale di questa cattiva gestione dei conti pubblici. Nel 2008 l’avanzo primario era al 3,5% del PIL, ora è precipitato a -0,6%. Vuol  dire che in due anni sono stati bruciati 4 punti, circa 60 miliardi  di euro. Il rapporto deficit-Pil era del 2,8%, oggi è al 5,3%, con un debito, che nel 2008 era al 105%, schizzato  al  118%. Infine, la spesa pubblica, volata a 51 miliardi in due anni, di cui solo 12, nel 2009, derivanti dall’acquisto di beni  e servizi.

Riassumendo, gestione sconsiderata delle risorse e aumento della spesa corrente. Come corollario l’eliminazione delle misure anti-evasione volute da Prodi, in primis quella sulla tracciabilità dei pagamenti, che fissava a 5.000 euro il contante utilizzabile per operazioni di acquisto, con un mancato introito stimabile in 12-14 miliardi di euro in due anni. Se a ciò aggiungiamo i 3 miliardi di euro buttati in Alitalia e i 3,6 miliardi di mancati introiti per l’abolizione dell’Ici per i più ricchi, si capisce come si sia arrivati a una manovra da 24 miliardi in due anni, fatta per fare cassa, con l’obiettivo esclusivo di rientrare subito dal debito, senza alcuna aspirazione a costruire sviluppo.

Servivano coraggio e riforme strutturali. Ci hanno servito, a parte il dietrofront sulla lotta all’evasione, solo qualche tampone di facile presa mediatica (vedasi la stretta irrisoria sui costi della politica), un condono mascherato e tanti sacrifici a scatola chiusa. A farne le spese saranno i lavoratori, le imprese e gli enti locali. Sul punto il PD è chiarissimo. Scaricare circa metà della manovra su Regioni, Province e Comuni significa ridurre all’osso i servizi ai cittadini, che i territori erogano in maniera non assistenziale, e limitare opere pubbliche e investimenti necessari alle comunità e alle PMI. Il tutto, beninteso, pregiudicando qualsiasi percorso verso quel federalismo fiscale che pure viene sbandierato come la più rivoluzionaria delle riforme del governo. L’effetto peggiore dei tagli agli enti locali sarà poi l’aumento della pressione fiscale. Esattamente quello che non serve al Paese per ripartire.

La realtà è che le riforme sono indispensabili. E la manovra può ancora essere l’occasione per farle. Per la competitività, ad esempio, è necessaria una nuova PA. Sul pubblico impiego, invece, il testo prevede misure che non alleggeriscono la burocrazia, né incentivano quella rivoluzione del merito proclamata, solo a parole, da Brunetta. Per le imprese c’è poco o nulla. Avevamo chiesto interventi urgenti di politica industriale e un piano su innovazione ed export. È arrivata l’”Irap zero” per le nuove aziende del Sud, che in questa fase rischia di essere solo un titolo vuoto. Se davvero si vuole usare la leva fiscale si escluda dalla base di calcolo dell’Irap il costo del lavoro, come ha più volte invocato anche Emma  Marcegaglia e come il PD propone da mesi.  Si abbia poi il coraggio di prevedere la tassazione zero per i nuovi assunti, che avrebbe un effetto salutare soprattutto nel Sud e nelle aree più in crisi. E poi altri tagli veri, possibili: vergognoso, ad esempio, il silenzio della maggioranza sull’iniquità delle pensioni d’oro e dei vitalizi. Vergognoso perché per tutti gli altri si aprono e si chiudono finestre, senza il coraggio di dare una prospettiva di tranquillità, soprattutto ai giovani, dentro a un nuovo patto generazionale che implichi anche un vero ripensamento del nostro modello pensionistico.

Dinanzi a tutto questo dobbiamo dimostrarci consapevoli e responsabili. E dalla nostra consapevolezza e dalla nostra responsabilità deve nascere la richiesta di coraggio a un governo impaurito: il coraggio di scegliere per dare speranza al futuro degli italiani.

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