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26.08.12 - NO A VETI ANAGRAFICI - LA SFIDA NEL PD SARA' IL CONGRESSO DEL 2013 ( da l' Unità del 26.08.2012 pagina 10 L'intervento/1 )

26.08.2012
Quando in un partito si arriva a discutere di veti – o di liste di proscrizione stilate in funzione nientemeno che del “ tempo “ della militanza – è evidente che c’è un malessere interno non curato. Oppure che è in corso il tentativo di un pezzo, debole, di classe dirigente di imporsi per vie traverse , e senza accettare le regole basiche della competizione politica. Un tentativo attuato senza congresso. Senza uno scambio aperto sulle idee e sulla qualità, politica e culturale, delle persone. Senza la misura del consenso. Senza, in definitiva , tutto quello che fa di un movimento politico un partito libero, che per fortuna non ha padroni e che vive del “ confronto su posizioni diverse e del voto conseguente “. Inquadrata da questa prospettiva di metodo, la spregiudicatezza con cui Matteo Renzi lancia la sfida alla guida del Pd mi pare se non altro la legittima espressione della volontà di dar voce a un malessere che innegabilmente c’è – sia pure con intensità, a mio parere, meno profonda di quanto i rottamatori vogliono lasciar intendere – e che sarebbe un errore assai grave derubricare alla voce minoranza scalpitante. Di contro, i cosiddetti giovani turchi imitano da qualche tempo la spregiudicatezza dei rottamatori, anche se la loro sfida ha il sapore dell’emulazione strumentale. Spalle coperte e paracadute ben issato ( non sia mai qualcosa dovesse andare storto ), Matteo Orfini , in rappresentanza di questo gruppo di compagni di partito, pretende di fissare , lui le regole per il ricambio della classe dirigente. E gioca al totoministri a mesi dal voto e senza ancora una bozza di legge elettorale da discutere pubblicamente per restituire il diritto di scelta ai cittadini. Non sono come mi picco di ripetere più volte , tra chi vive di pane e Parlamento o ha intenzione di farlo per tutta la vita. Per questo, peraltro, ho firmato la proposta Ginefra sul limite dei 3 mandati con altri 50 colleghi. Considero la politica un’occasione straordinaria per mettere le proprie competenze e le proprie idee al servizio della comunità in cui si vive. Sempre naturalmente che si abbia qualcosa di utile da fare o da dire. Tuttavia, trovo arrogante e intollerabile ipotizzare che per il ricambio della classe dirigente si possa procedere a colpi di veti a mezzo stampa. E ciò in funzione non delle idee e dei contributi che si possono dare o non dare al proprio Paese. Ma sulla base di indicatori costruiti per convenienza personale o di gruppo , spesso senza neanche poter vantare l’autorevolezza sufficiente per lanciarsi in simili provocazioni, in termini tanto di competenze acquisite quanto di voti ottenuti nel corso della propria vita politica. Ne faccio, ripeto, una questione di metodo. Sul merito, invece, ritengo che la proposta renziana e quella dei cosiddetti giovani turchi siano del tutto speculari e costituiscano, per ragioni certo opposte, un’involuzione rispetto a quegli obiettivi di “ mescolanza “ e di innovazione sul versante politico – culturale sui quali si fonda, sin dalle sue intuizioni, il progetto del Pd. Un’ idea precisa di selezione
La sfida è in buona parte ancora tutta lì: rafforzare un partito nazionale e popolare in grado di governare il Paese, di veicolare il cambiamento contro ogni tentazione conservativa, di riformare l’ Italia strutturalmente perché così com’è proprio non funziona più. Il tutto contemperando libertà ed equità, spirito d’intrapresa e solidarismo, mercato regolato e Stato efficiente. Questo tentativo di trovare un equilibrio difficilissimo nella compelssità non c’è né nella diagnosi di Renzi né in quella di Orfini. Ci sono scorciatoie. Quella semplicemente liberal dei rottamatori, un po’ leggera e spesso distratta rispetto alle inquietudini, alle paure, al disagio di tanti italiani mortificati dalla crisi. E quella da richiamo della foresta dei giovani turchi, socialdemocratica a buon mercato, polverosa almeno tanto quanto le parole con le quali si tratteggia nel discorso pubblico. Ecco, le scorciatoie mi sembrano l’ultima cosa che serve oggi al Pd. Sul piano culturale e su quello del rinnovamento. Bersani, da questo punto di vista, ha intelligentemente favorito il ricambio e se la stragrande maggioranza dei segretari regionali, dei componenti della segreteria nazionale e degli amministratori locali non avevano nemmeno l’età del voto quando è nata la seconda repubblica , lo si deve ha un’idea precisa di selezione della classe dirigente. La verità è che il ricambio quando funziona è perché interpreta genuinamente i fermenti in atto nella società. Una società, quella italiana, radicalmente cambiata negli ultimi dieci anni. Che non si fida dei mestieranti della politica e che ha imparato a distinguere tra chi è capace servendo la politica e chi è capace solo di servisri della politica. Ai due Matteo rilancio la sfida. Confrontiamoci nel prossimo congresso . Quello del 2013 sarà inevitabilmente il congresso della nostra generazione. Ma facciamolo dimostrando di essere riformisti che credono nella centralità di una nuova Europa e che cambiano l’ Italia non facendo sconti a nessuno. Evitiamo di avere come ostaggio in questa fase proprio il partito alla vigilia delle elezioni. Il Paese ha dinnanzi a sé anni difficili di ricostruzione, fatica, ricerca di un paradigma di sviluppo nuovo, più sostenibile ed equilibrato. Per questo ha bisogno di un Pd che affronti con coraggio e autorevolezza la complessità di una crisi senza precedenti per le generazioni attuali e per quelle a venire. Certo non ha bisogno di scorciatoie. Di queste scorciatoie. ( da l' Unità del 26.09.2012 pagina 10 intervento/1 )

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