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30.04.12 - LA RIFORMA. TRA LAVORO E SVILUPPO , INTERVISTA CON L'ON. FRANCESCO BOCCIA

03.05.2012
“In questo momento bisogna avere apertura mentale, un approccio aperto a tutto tondo.” Guardare alla Riforma ed al Paese senza "casacche" con l'obiettivo di superare la dualità del nostro mercato del lavoro Onorevole, sono giorni particolarmente delicati, al Senato è in corso l'esame della riforma del lavoro, che idea si è fatto sull'impianto generale della riforma? Quali sono a suo avviso i punti sui quali, durante i lavori parlamentari, sarà necessario intervenire? Iniziamo col dire che la riforma affronta senza veli e senza ipocrisie un tema che molto spesso che la politica italiana ha fatto finta di non vedere e cioè la dualità del mercato del lavoro in Italia. Negare la dualità significa o essere incoscienti o irresponsabili. E' evidente che in questi anni si sono alzati dei muri introno ad alcune generazioni protette e il numero di coloro che son fuori da quei muri protetti, penso alla pubblica amministrazione, penso alle professioni, ai lavoratori dipendenti di varie caratterizzazioni, penso ai docenti universitari, mi vengono in mente tutte le categorie. Tutti coloro che son fuori da queste mura protette – intanto sono aumentati di numero – cioè c'è un problema statistico e spingono ed ora non sono tanti ma sono anche tanto "incazzati". Quindi la politica non poteva più permettersi di girare la testa dall'altra parte come ha fatto negli ultimi dieci anni. Questa riforma ha il merito di affrontare questo tema. Si dira: "si poteva affrontare meglio" probabilmente di si, intanto questa riforma affronta la dualità del mercato del lavoro. Si era partiti dal presupposto, almeno secondo le indicazioni pervenute dalle sedi europee, che fosse la flessibilità uno degli obiettivi finali a cui giungere. Si era detto che si doveva puntare a creare un sistema che permettesse al lavoratore di muoversi all'interno del mercato del lavoro, magari cambiando la propria attività ma in maniera sufficientemente protetta. L'impianto della riforma appare invece finalizzato a trasferire la maggior parte possibile di nuovi contratti e assunzioni verso l'apprendistato che a sua volta dovrebbe poi sfociare in contratti a tempo indeterminato. Sembra cioè finalizzato a garantire, a stabilizzare. Esiste una dicotomia tra queste due impostazioni o è possibile coniugarle? Io parto da un altro presupposto. Parto dal presupposto che essendoci questa dualità – cioè alcuni iper protetti – e altri guarda caso i giovani e tutti coloro che si ritrovano tra i 26 ed i 45 anni e a questi vanno aggiunti coloro che hanno perso il lavoro tra i 45 e i 57-58 anni e sono situazioni ancora più gravi ed essendoci questa evidente dualità i cosiddetti strumenti che dovevano aiutare la flessibilità si sono trasformati in alcuni casi come delle occasioni momentanee di lavoro in altre invece come un vero e proprio tentativo di aggirare le difficoltà che i mercati presentavano e presentano. Far finta di non vedere che ci sono tante partite iva fasulle significa che non guardano in faccia alla realtà; una parte delle partite iva sono lavoratori in realtà dipendenti non autonomi. I co. co. pro. poi sono certamente lavoratori dipendenti, tutti, inutile prendersi in giro; quindi do' per scontato che quelli lo siano già, ma vado altre, e voglio provare a rispondere alle contestazioni di alcune imprese proprio per dare una chiave di lettura che ci porta ad una soluzione. I soci di alcune operative in realtà non sono soci e non lo saranno mai perché sono semplicemente delle braccia cooperativizzate. Ora, non dire che queste sono state scorciatoie trovate dalle imprese con l'aiuto dello Stato, e quindi della politica, significa non guardare in faccia la realtà. E questa contraddizione è stata scaricata interamente sulle spalle dei più deboli socialmente e delle nuove generazioni. Gli strumenti di flessibilità esistenti fino a prima di questa riforma in realtà sono stati utilizzati per evitare di caricare sulle imprese la ciclicità dei mercati e condizioni economiche che non consentirono a molte imprese di fare una programmazione economica adeguata che gli consentisse anche di investire. Ora va da se che nel momento in cui la riforma che guarda al superamento della dualità tocchi anche questi temi, quindi le modalità con cui sono stati toccati questi due temi li vedo come dei primi passi verso un adeguamento del sistema generale – non certo un punto di arrivo - . Va da se che se si fa solo questo si tolgono alcuni strumenti diciamo, io li chiamo di deresponsabilizzazione dell'impresa nella programmazione del ciclo economico, qualcuno li chiama – secondo me un po' superficialmente – strumenti di flessibilità ma stiamo dicendo la stessa cosa. Per questo motivo io penso che l'altra parte definita "aspi e miaspi" che altro non è che quella che noi chiamiamo reddito di inserimento, in Inghilterra si chiama income support. Questa roba qui se estesa per ipotesi a tutti i non lavoratori italiani, di fatto cambierebbe il profilo del nostro welfare e renderebbe inutili le discussioni sull'articolo 18 e renderebbe inutili gran parte delle discussioni che facciamo sugli strumenti delle flessiblità in entrata rispetto ai termini entri i quali trasformarsi in apprendistato oppure in lavoro a tempo determinato o indeterminato. Ovviamente le risorse per fare questo non c'erano e non ci sono e l'aspi e la miaspi, la aspi soprattutto trasformata in questa roba qui e cioè nell'income support ma solo legata ad alcune categorie che già ottenevano delle risorse ma con delle deroghe, quindi senza un rispetto della normativa ordinaria ma attraverso l'intermediazione o dei sindacati o delle associazioni. Per questa ragione la riforma pare incompleta perché chi vuole vedere solo una angolatura vede l'angolatura di interesse, e quindi le imprese vedono il numero delle partite iva e non ci saranno più e si trasformeranno in un'altra cosa, altre imprese quelle cooperative, alcune cooperative, quelle delle "braccia" – come le chiamo io – vedono solo alcuni limiti e non altri, ed io invece penso che se la maggioranza sostiene il governo Monti affronta questo tema con grande grado di laicità, senza farsi condizionare dal colore delle casacche di chi prende posizione. Anche perché forse ormai certe casacche non dovrebbero esserci più. E no, invece ci sono. Meglio le casacche reali non ci sono più sono scolorite ed inadeguate rispetto alla società reale in cui viviamo ma è la seconda repubblica che le ha ritinteggiate. Quelle casacche non ci sono più – secondo me - dalla fine degli anni 80 nella società reale. La politica italiana ha fatto il miracolo di tenere in vita solo quello, tutto il resto è stato distrutto ma quelle sono state tenute. Dico semplicemente che, se noi ci fermiamo ad analizzare le contestazioni, che fanno alcuni in totale buona fede, penso a quelle che fa Cazzola sulla flessibilità in entrata o penso a quelle che fa Damiano sull'adeguamento, sul peso del tempo indeterminato o meglio sulla necessità che il tempo indeterminato debba costare molto meno degli strumenti dei cosiddetti dei lavori flessibili o dei contratti a tempo determinato. Ognuno se guarda la riforma sotto questo punto di vista la rischia di avere ragione, ma questa riforma se la guardiamo tutti insieme avendo come obiettivo finale quello di superare la dualità dando ai nuovi entranti opportunità che non avevano, coperture che non avevano, certezze che non avevano e alle imprese, diciamo, l'onore di non scaricare sui più deboli le reciprocità dei mercati e di investire pagando il lavoro strutturale. Rimaniamo sull'indeterminato. Partendo dal presupposto che il modello della produzione, della fabbrica tradizionale quella del 900 per intenderci è evidentemente sempre meno centrale e che le aziende oggi sono legate a fattori di produzione estremamente variabili. Faccio un esempio forse banale: blockbuster una multinazionale nata e scomparsa nel giro di poco più di dieci anni... Per le multinazionali vale quello che noi diciamo anche per le piccole imprese. È l'essenza dell'economia applicata all'impresa: quando la funzione di uso di un prodotto, di un bene o di un servizio viene meno tu puoi anche essere il "padre eterno" ma alla fine è finita la ragione sulla quale poi si poggia il contenuto della produzione e non essersi resi conto, pur essendo multinazionale, che le tecnologie superavano la funzione di uso di film affittati, e questo vale per la musica, vale per mille altre attività . Ma se siamo davanti ad un produzione che si muove nel tempo e nello spazio, una "produzione flessibile", secondo lei è possibile pensare che il contratto a tempo indeterminato possa essere davvero il contratto dominante? No. Ma il tema non è se è dominante o meno, ma se un lavoratore vive in uno stato che gli consente di soddisfare i bisogni primari e quindi, se anche quel lavoro lo perde, sa che c'è uno stato che non lo abbandona. In questo quadro sarebbe forse utile sforzarsi su altri aspetti, per esempio convincere gli istituti bancari a concedere mutui e garanzie anche a chi non può vantare il suffisso in davanti al determinato. Mi riferivo anche a questo. Lo dico anche per esperienza vissuta. Io nel 1994 da italiano sono andato a vivere in Inghilterra, in quella euroscettica di Major, e c'era già Maastricht e sono stato trattato da europeo, dagli euroscettici ho ottenuto prima l'incom support, il governo inglese mi ha mantenuto, ed un paio di anni dopo ho comprato casa, con un contratto a tempo determinato solo dopo trasformatosi in tempo indeterminato. In realtà l'ha comprata la banca che mi ha finanziato il 95% del valore della casa perché c'era un fondo speciale per i lavoratori con contratti a tempo determinato. Questo è il welfare a cui dobbiamo puntare, quando avremo costruito questo, allora potremo parlare del superamento della forma di contratto a tempo indeterminato. Quello che contesto ai miei amici del Pdl è che se non si ha in testa una riforma di welfare moderno, si finisce, quando si discute di un pezzo della quadratura, di mettersi la casacca e di sfidare totem ideologici sia a destra che a sinistra. Per questo si discute di reddito di inserimento come si discute giustamente di altre certezze e quando parlo di bisogni primari mi riferisco al lavoro, alla famiglia e quindi alla casa, se a un essere umano gli si dà la possibilità di soddisfare queste condizioni nessuno rivendicherebbe battaglie ideologiche. Onorevole, in questo periodo il confronto sulla riforma del mercato del lavoro è stata portata avanti dal governo parti sociali e partiti. Tutti e tre i soggetti vivono, per ragioni diverse e con intensità differenti, una situazione di, come definirla, difficile capacità rappresentativa. Fatta questa premessa, secondo lei, se si chiedesse oggi a un lavoratore precario, (magari iscritto alla gestione separata dell'Inps), se preferisce mantenere bloccate le sue risorse contributive ai fini esclusivamente pensionistici, per una pensione che avrà solo dopo i 72 anni, e che comunque, a quanto pare, sarà particolarmente bassa, almeno secondo quanto dichiarato proprio dal presidente del inps, oppure utilizzarli magari come forma assicurativa per la creazione di fondi per acquisto prima casa o per contribuire a coprire i periodi di inattività lavorativa, cosa risponderebbe? Potrebbe essere questa una via da seguire? Certo. Non sono affatto contrario, ovviamente sono soluzioni che vanno studiate nel dettaglio, ma penso di si, in questo momento bisogna avere apertura mentale, un approccio aperto a tutto tondo. Sviluppo. Le aziende italiane sono di fronte ad una profonda difficoltà di accesso al credito e inoltre scontano i gravi ritardi delle P.A nei pagamenti. Sappiamo che il 21 dicembre 2011 le banche europee hanno ottenuto circa 500 miliardi di euro di nuovi fondi, quelle italiane hanno ricevuto 116 miliardi di euro al tasso dell'1 per cento. Ma queste risorse erano o dovrebbero essere destinate alla ricapitalizzazione degli istituti bancari oppure a fornire credito all'economia reale, alle imprese ed alle famiglie? Complessivamente sulle due tranche di Rtlo la banca centrale europea ha stanziato mille miliardi di cui 200 alle italiane. E dove sono finiti? La prima è stata fatta per far rifiatare i bilanci appesantiti delle banche, anche qui perché appesantiti? Perché quando si ha la prima e la seconda banca italiane: una con il 120% del capitale di vigilanza in titoli di stato e la seconda con l'85% del capitale di vigilanza in titoli di stato scoprire di chi è la colpa, se della banca o dello stato è come tentare di capire e è nato prima l'uovo o la gallina. Si può anche prendere l'intero management di quella banca e ghigliottinarlo, cosa che oggi va di moda, tra la Lega e Grillo, ma bisognerebbe capire da quanti anni le due principali banche erano obbligate a comprare titoli di stato in scadenza. Ora, inutile parlare delle terza quarta e quinta banca, basta parlare delle prime due e si capisce la condizione nella quale sono le nostre banche, cioè imbottite di titoli di stato nostri. Inoltre, aggiungo io, i debiti fatti da generazioni che non meriterebbero neanche il diritto di parola, perché se volessimo fare i rivoluzionari fino in fondo tutti coloro che hanno da una certa età in poi anche quelli buoni dovrebbero accompagnare quelli meno buoni alla pensione. Almeno i rappresentanti delle classi dirigenti, perché ora trovo abbastanza pittoresco che ci sia il tentativo di alcuni di prendere le distanze dal debito pubblico che abbiamo. Quel debito è frutto di scelte scellerate di vent'anni di classi dirigenti. E dentro ci metto tutti. Ci metto la politica, le associazioni datoriali, i sindacati, salvo davvero solo quelli sotto i 50 anni e neanche tutti. Detto questo, una piccola digressione. I 200 miliardi, certamente la prima tranche è andata al bilancio delle banche, e questo era prevedibile. La seconda, abbiamo fatto una mozione congiunta. Io e l'on. Corsaro siamo i primi firmatari di una mozione che ha compattato di fatto tutta l'Aula che ha chiesto a Monti di dire in maniera molto netta in sede europea che le risorse della seconda tranche e di quelle eventualmente successive deve essere garantito che vadano agli impieghi sull'economia reale. Ora è inutile nasconderlo, è evidente che tra dicembre e febbraio le risorse delle banche sono state reinvestite sui titoli di stato italiani in scadenza. I questi giorni noi tutti nel partito democratico abbiamo chiesto al Governo Monti di dare segnali chiari sui due temi, diciamo, più delicati: mi riferisco ai pagamenti dei debiti delle pubbliche amministrazioni e alla necessità di rimettere liquidità nel sistema. Abbiamo anche indicato anche le strade da seguire, io penso che possano essere condivise da tutta la maggioranza, e cioè, per i pagamenti della pubblica amministrazione in parte già dentro il decreto fiscale che abbiamo approvato, mi riferisco alla trasformazione in pro solvendo dei crediti. Non basta, nel senso che finalmente le banche sanno che i crediti verso la P. A. sono soggetti ad opzione tra pro soluto e pro solvendo, avere la certezza che il pro solvendo in qualche modo può essere sostenuto da un fondo di garanzia terzo, io mi auguro venga fuori dalla cassa depositi e prestiti, lo deciderà il Governo Monti, ma è l'occasione per mettere le banche in relazione con lo stato, tirar fuori i creditori e consentirgli così di avere delle risorse. Già scontare il pro solvendo in crediti della pubblica amministrazione significa aver risolto una parte del problema. Quello sulla liquidità, anche lì, a mio avviso serve un fondo di garanzia straordinario che consenta di trasformare i debiti finanziari a breve termine, soprattutto delle piccole e medie imprese, in debiti a medio e lungo termine. E le risorse? Ci sono. Ora io non voglio mettere il peso su alcuni enti però, insomma, cassa depositi e prestiti ha 130 miliardi di liquidità. Probabilmente se il Governo, che la guida, indicasse nella cassa una risorsa, io non penso che debba fare concorrenza alle banche ma utilizzare una parte di quelle risorse, basterebbero10 miliardi, a garanzia, per stimolare 100 miliardi di liquidità nel circuito. Mi piace pensare alla cassa depositi e prestiti come il polmone dello Stato che spinge verso nuovi investimenti infrastrutturali, continua a fare il polmone finanziario degli enti locali, soprattutto dei piccoli comuni, e che funge in qualche modo da garante di operazioni straordinarie. Poi mi aspetto che ci sia una terza asta della Bce che possa generare nuove risorse. Onorevole, gli istituti bancari dal dopoguerra agli anni 80 del secolo scorso hanno svolto un ruolo cruciale per lo sviluppo economico del sistema capitalista, poi la progressiva finanziarizzazione dell'economia ha trasformato i nostri sistemi economici, inducendo le banche a diventare delle società finanziarie attive su scala globale e operanti a 360 gradi sui mercati finanziari. Oggi gli operatori finanziari, soprattutto quelli grandi, hanno una capacità di incidere sulla vita quotidiana dei cittadini, (come degli stati) che a volte sembra decisamente più incisiva di quella delle istituzioni politiche deputate a rappresentare i cittadini stessi. Non crede sia il caso di ripensare questo percorso? Assolutamente si. Questa è una battaglia che porto avanti dai tempi in cui l'ex ministro Tremonti esaltava la finanza creativa, noi che all'epoca eravamo fortemente contrari passavamo per persone fuori dal tempo, poi però, ha dimenticato con troppa facilità cartolarizzazioni fatte con ship uno due ecc ecc, intanto si cartolarizzava il mondo. I paesi europei all'inizio erano restii ad accettare i meccanismi di cartolarizzazione ma siamo stati invasi e la politica in Italia ha avuto la responsabilità di essere assolutamente incapace di leggere quello che stava accadendo, e in Italia hanno fatto danni relativi rispetto a quelli fatti in altre parti del mondo. Ci hanno salvato i libretti postali dei piccoli risparmiatori? Per fortuna, perché gli italiani sono dei risparmiatori attenti. Primavera araba. Potrebbe sembrare un argomento del tutto estraneo. Eppure forse ci riguarda molto da vicino. Di fronte alle rivolte arabe e alla possibilità di affermare in questi Paesi regimi democratici, l'opinione pubblica occidentale si è espressa molto favorevolmente Ma la democrazia porta con se conseguenze immediate anche sul piano economico: prima di tutto la concorrenza, la competitività, il diritto a rivendicare ed ottenere migliori condizioni di vita. Queste "nuove democrazie" saranno presto nuovi competitori nel mercato globale, rappresenteranno essi stessi nuovi mercati, particolarmente allettanti, con un costo del lavoro molto basso e tassi di crescita molto alti. Molte delle aziende che negli ultimi dieci anni hanno de-localizzato ed investito in molti paesi dell'est europeo, avranno una possibilità in più, potranno spostare la loro produzione in Egitto, Libia, Tunisia ecc, ecc... Onorevole, il processo di globalizzazione e l'affermazione della democrazia in nuove aree del globo sembra comportare inevitabilmente la contrazione dei livelli di vita nei paesi più sviluppati, è davvero così? E se così fosse abbiamo davvero preso coscienza di questa nuova realtà e come si governa questo mondo nuovo? Io penso che il mondo sia sempre stato interconnesso. La prima crisi globale, come poi tra l'atro ricostruiscono alcuni intellettuali, noi l'abbiamo avuta al tempo del telegrafo delle navi che solcavano gli oceani. La compagnie delle indie, come le grandi imprese globali utilizzavano mano d'opera di paesi lontani, quando le navi iniziarono ad andare da un parte all'altra del globo si scopri che c'erano braccia che costavano meno e ci furono le prime crisi. Io penso che c'è una parte del mondo che inevitabilmente intercetterà le produzioni con l'incidenza dei costi della mano d'opera. Un tempo i cinesi eravamo noi, oggi i cinesi si stanno già trasferendo in africa. Ora è evidente che quel modello ad un ceto punto dovrà essere integrato da meccanismi che non hanno più nella corsa alla produzione massima l'unico riferimento. Io non so quanto possa durare ancora questa fase se mezzo secolo, un secolo o di più. Ma noi siamo pronti a gestire eventualmente l'abbassamento dei nostri livelli di vita medi? No, io non credo che si possa abbassare, quello che va cambiato è il modello di produzione di valore, non sono convinto che per star meglio si debba rinunciare al soddisfacimento di alcuni bisogni. Ci può essere un modello ideale, che però ancora non emerge, che può portare gli uomini da un lato ad un rispetto collettivo dei diritti cui fanno riferimento gli esseri umani e dall'altro ad una condivisione delle risorse primarie. Ma per far questo ci vuole un regia che non c'è. Fin'ora il Wto ha fissato meccanismi che ricordano più la compagnie delle indie che altro nel senso che hanno consentito ad alcuni gruppi, diciamo multinazionali di difendere i propri vantaggi che in alcuni casi ha coinciso con gli interessi di alcuni Paesi, questa sovrapposizione ora non c'è più e quindi è evidente lo scollamento tra gli interessi dei Paesi e quello di alcuni gruppi multinazionali. Se la politica si riappropria della propria centralità probabilmente metterà in discussione il modello di produzione, se non lo farà vivremo ancora un tempo fatto da un meccanismo che distribuisce da un lato le opportunità dall'altro le povertà ritroveremo i paesi più poveri che saranno quelli che metteranno le braccia. E' la storia, diciamo, industriale del mondo degli ultimi secoli, son cambiate molte cose, le tecnologie hanno accelerato i processi quello che non è stata accelerato in questi anni è la riflessione culturale. ( DA IL LABORATORIO.NET DEL 03.05.2012 )

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