Intervista pubblicata su Il Mattino, rilasciata a Marco Esposito
Ministro Boccia, il suo disegno di legge quadro sull’autonomia sta sollevando più d’una perplessità. Proviamo a chiarire partendo dal punto più delicato: i Lep, i livelli essenziali delle prestazioni, secondo la legge vanno definiti entro dodici mesi ma, se non sono definiti, si può partire lo stesso. Scusi, ma così che vincolo è?
«Rispondo subito - dice Francesco Boccia, ministro per gli Affari regionali e le Autonomie - ma vorrei prima ricordare da dove siamo partiti a ottobre. Il Governo ha il dovere di rimettere insieme i cocci di un Paese frantumato nel rapporto nord-sud. Siamo passati da tre proposte unilaterali di Veneto, Lombardia e Emilia Romagna sganciate dal resto del paese, legittime ma che avevano prodotto la rottura nel vecchio governo a una proposta di tavolo unitario per stabilire insieme il perimetro costituzionale dentro cui innestare le intese. E siamo passati da un Parlamento che non aveva mai ricevuto alcuna proposta scritta, a un Parlamento a cui sono state trasmesse le documentazioni passate e presenti. Massima trasparenza su tutto».
Se dobbiamo rifare la storia, dobbiamo partire dall’accordo del governo Gentiloni con Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna...
«A quattro giorni dal voto del 4 marzo 2018 quelle firme avevano un valore di indirizzo di una rotta, una sorta di protocollo d’intesa. In ogni caso adesso siamo di fronte non più a patti bilaterali ma a un confronto che vede al tavolo tutte le Regioni, del Nord e del Sud, ordinarie e a statuto speciale. Ecco perché serve una legge quadro, che non è l’intesa: serve a definire il perimetro del campo di gioco. Le intese dovranno rispondere a un perimetro condiviso. Che oggi non c'è»
Partire senza i diritti minimi, i Lep, non è un modo di andare fuori campo?
«I tecnici dopo lunghe e rigorose analisi mi hanno assicurato che i Lep in sette-otto mesi si definiscono. La regola dei dodici mesi è stata scritta su suggerimento della Ragioneria e condivisa da me. Ma il termine è anche condizionato dal livello basso di fiducia che c'è tra i livelli Istituzionali. Le Regioni non si fidano dello Stato sui tempi e ho voluto dare il segnale che non c’è alcuna volontà di andare per le lunghe. Ci sarà il modo di vincolarsi reciprocamente rispettando la volontà condivisa di partire per le tre materie Lep oltre alla sanità dopo la definizione degli stessi».
Anche i cittadini, soprattutto del Sud, si fidano poco dello Stato: i Lep sono assenti da diciotto anni e questo vuol dire meno servizi per asili nido, assistenza sociale, trasporto locale...
«Lo Stato siamo noi. Ognuno di noi è lo Stato e se non funziona significa che non abbiamo fatto abbastanza il nostro dovere per farlo apparire credibile. E al Sud questa assunzione di responsabilità riguarda tutti. Troppo facile dare la colpa agli altri. So bene che l’applicazione del federalismo per i Comuni è stata devastante. Non la difendo mica e l'ho criticata e non condivisa in Parlamento quando è stata fatta e chi mi conosce sa che voglio cambiarla. Ma qui parliamo di un’altra cosa. Non confondiamo il cosiddetto federalismo comunale con l'autonomia differenziata. Sono cose totalmente diverse».
Mica tanto. Le Regioni dovranno girare i maggiori poteri che avranno ai Comuni per evitare nuovi centralismi e quindi avremo Comuni ad autonomia differenziata.
«No, avremo comuni con maggiori poteri e risorse correlate. Sono proprio i comuni ad aver chiesto di esserci nella riforma e io sono d'accordo nell'evitare che i limiti del centralismo statale diventino i limiti del centralismo regionale. Ma non mescoliamo gli errori fatti sui comuni con questa riforma che di fatto richiama le intese eventuali delle regioni al rispetto del principio di sussidiarietà. Lo affermo qui a Napoli con chiarezza: sono disposto a modificare la regola dei dodici mesi sui Lep. Ci saranno tavoli tecnici e politici, cerchiamo una soluzione che tenga insieme Nord e Sud. Perché non va sottovalutato il valore di aver recuperato un dialogo tra tutti i presidenti di Regione, da Zaia a De Luca, da Fontana a Emiliano, da Bonaccini a Toma per fare nomi di Presidenti di Regioni così lontane e così diverse dal punto di vista politico e territoriale. L’importante è che i tempi vengano rispettati e qualcuno paghi in caso di ritardo».
Nella legge quadro si prevede un commissario per definire i Lep. Dovrà definire tutti i livelli essenziali o soltanto le materie richieste dalle Regioni?
«Quando una Regione chiede una funzione, se quella funzione è legata a un Lep, il Lep va definito e si applica a tutte le Regioni».
Bene. Ma la domanda era: il Commissario calcolerà tutti i Lep? Anche quelli comunali? Anche gli asili nido?
«Secondo me l’asilo nido lo chiedono tutti e comunque se una Regione chiede quella funzione sì. Poi, certo, avendo messo in piedi una struttura per definire i Livelli essenziali delle prestazioni mi sembra naturale che nel tempo vada a definirli tutti. Ma parliamo delle materie Lep: oltre alla Sanità che ha già i suoi Lea, ci sono il trasporto pubblico locale, l'assistenza e l'istruzione nella parte organizzativa».
Ma il Lep una volta definito, come si fa a finanziarlo se c’è il vincolo - scritto nella legge-quadro - del limite delle risorse iscritte nel bilancio dello Stato?
«Se tiri fuori i Lep, cosa mai fatta prima eccetto che per la sanità, si vedono le differenze fra i territori. E a quel punto è responsabilità dello Stato nel pieno rispetto dell'articolo 3 della Costituzione, trovare le risorse nell’ambito del bilancio statale. I soldi ci sono: vanno vincolati nell’obiettivo, che è quello di ridurre le diseguaglianze e le differenze tra territori. La medesima cosa che vuole fare il Fondo di perequazione infrastrutturale che oggi è un primo passo che apre un percorso con 3,6 miliardi, ma che possono facilmente diventare 36 nel decennio, mano a mano che si vorranno vincolare i soldi pubblici al riequilibrio, correggendo storture naturali già accadute in questi anni senza che nessuno proferisse parola. L'alta velocità per l’84% è finita al Centronord perché ha seguito densità economica, di popolazione e si business. E se non si interviene sulle risorse ordinarie finisce così su tutto. Il rischio c'è anche sulle reti e sulle tecnolgie. Noi abbiamo il dovere di aiutare le aree interne, le aree di montagna, quelle a rischio spopolamento.
Che differenza c’è tra livelli essenziali delle prestazioni e obiettivi di servizio?
«I Lep sono generali mentre gli obiettivi di servizio definiscono gli obiettivi e sono più specifici».
Per esempio?
«Il tempo pieno a scuola raggiunto in ogni ambito di un territorio può essere un obiettivo di servizio nell’ambito del lep stabilito».
Quindi la scuola si regionalizza?
«Assolutanente No. Ma le risorse per migliorare i servizi vanno garantite. Gli insegnanti restano statali. E i presidenti delle regioni lo sanno bene».
Sicuro? Fontana ha appena detto che inizierà a legiferare sull’istruzione...
«La regione Lombardia sa come la pensa il Governo e il tavolo Delle regioni. Hanno però il diritto di fare le loro battaglie su altri tavoli. Se faranno la legge su una materia statale? Vedremo. Le regole sono chiare. Nel caso sarà impugnata. Sul tavolo nazionale vi assicuro che l’unitarietà della scuola è un punto fermo e non si discute. Si discuterà, come ho sempre detto, di organizzazione ma fuori da questo perimetroper garantire la continuità didattica. Peraltro su questo tema, che forse al Sud abbiamo sottovalutato, il ministro Fioramonti sta lavorando molto bene e ha già dato risposte nei concorsi appena varati».
Sul nodo delle risorse proviamo a chiarire un punto ambiguo: una volta assegnata alla Lombardia una quota di Iva, se in quel territorio il gettito negli anni cresce, l’extragettito a chi va?
«L’Iva non l’assegnerei alle Regioni. Ma ora penso sia prematuro parlare di riforma del gettito fiscale che verrà affrontata in Parlamento quando ci sarà condivisione. Credo sia preferibile una quota di Irpef ma non spetterà a me dirlo».
Va bene. E a chi va l’extragettito?
«Il nodo non è l'extragettito, ma cosa succede se una Regione risparmia perché efficiente con le risorse assegnate? Per me non è sbagliato che restino alla regione che è stata virtuosa. Fermo restando il potere di perequazione che deve essere esercitato dallo Stato. In altre parole la riforma dev'essere win-win. Chi risparmia tiene le risorse e le investe come ritiene più opportuno, chi è indietro viene aiutato dallo Stato fino a quando non raggiunge i livelli medi delle prestazioni. E poi il coordinamento della finanza statale, resta scolpito nella Costituzione e può prevedere misure redistributive».
Chiudiamo con i tempi. Quali le prossime tappe?
«Martedì riunisco i venti esperti, il cui ruolo sarà fondamentale per valutare le intese. Mercoledì mattina ci sarà una riunione di maggioranza. Appena il testo sarà pronto andrà in Consiglio dei ministri ma prima di arrivare in Parlamento come disegno di legge collegato alla legge di bilancio farò un ulteriore passaggio nella Conferenza Stato Regioni. E vorrei essere chiaro: se Regioni, Città metropolitane ed enti locali non saranno più al tavolo a sancire l'unità del Paese e delle istituzioni territoriali non farò forzature. Io riforme contro non ne faccio e il mio lavoro sull'autonomia si ferma lì».
Cioè? Assegna al Molise o alla Valle d’Aosta il potere di far saltare tutto?
«Nessuno ha diritto di veto. Chiedo che al tavolo ci siano tutti, che ci sia il Nord e il Sud pur con i distinguo di ciascuno. Perdere questa unità e disponibilità al dialogo significa ripartire da zero o fare riforme a colpi di maggioranza. E questo non accadrà mai con me. Se qualcuno ritiene che si stia meglio così, senza regole condivise e con una regione che può svegliarsi una mattina e andare dove vuole, lo dica e se ne assuma la responsabilità. Io vorrei un Paese unito da nord a sud e tra stato e territori".