Articolo pubblicato su Democratica
La trasformazione della società digitale e la portata straordinaria dell’economia digitale sul funzionamento del capitalismo globale impone una riflessione politico culturale profonda e scelte legislative chiare. Viviamo la più grande rivoluzione moderna del capitalismo attraverso il digitale con la dematerializzazione della ricchezza, il superamento dei confini degli stati nazionali e la deregolamentazione che la politica non può ignorare. Il Governo Conte va sempre in affanno quando si discute dell’impatto che il digitale ha avuto sulla produzione di beni e servizi, sul funzionamento della società e sulla qualità della democrazia. La regolazione del conflitto di interessi è l’architrave delle regole del gioco e non si può guardare alla società di oggi proponendo il modello novecentesco così come fa il M5S o la stessa Lega, connivente, limitando le proposte come se la società digitale non esistesse.
La proposta di legge sul conflitto di interessi digitale che il PD oggi ha presentato in conferenza stampa alla Camera è l’altra faccia della medaglia del conflitto di interessi ‘tradizionale’ che si sintetizza molto efficacemente nella proposta Fiano depositata a inizio Legislatura. Il Partito Democratico, come ha sottolineato il presidente del Gruppo alla Camera, Delrio, vuole prevenire tutti i conflitti. Oggi, invece, la sensazione è che la maggioranza non sia tanto interessata al conflitto di interessi quanto all’interesse per il conflitto.
Oggi il conflitto di interessi non riguarda soltanto l’editoria se gestita o condizionata da chi ha un ruolo politico ma anche chi si occupa di dati, di informazioni, di business o di attività che, anche attraverso il web, incidono sulle scelte politiche. Vale per Casaleggio così come per tutte quelle società private che usano piattaforme on line per influenzare le scelte politiche, attraverso l’analisi e la canalizzazione del sentiment degli elettori.
Nella società digitale, chi incide attraverso attività economiche sul funzionamento delle istituzioni è in palese conflitto di interessi. Non è una norma contro Casaleggio ma, è evidente, che il suo è un conflitto di interessi macroscopico e la politica ha il dovere di normarlo. La Casaleggio & Associati è una società privata che, attraverso la piattaforma Rousseau ha selezionato un terzo del Parlamento e più di mezzo governo; per farlo ha utilizzato dati: profilazione degli utenti, analisi del sentiment, analisi comportamentale, anche pratica del cosiddetto nudging con attività indirette. Viceversa, se anziché dire di essere distaccato dal M5S ammettesse di esserne il capo, allora quel partito dovrebbe rendere la piattaforma Rousseau open source, aperta, trasparente e con un algoritmo controllabile.
Nel dettaglio, il conflitto di interessi che andiamo a normare si applica al titolare della carica politica che sia stato eletto anche attraverso il sostegno di società private che fanno nudging o all’editore che eserciti, o abbia esercitato negli ultimi tre anni, la propria attività nel settore della comunicazione elettronica o di gestendo piattaforme online. Nel rispetto del Regolamento Euratom si stabilisce anche il divieto, per chi concorre a incarichi politici, di esercitare attività di profilazione degli utenti o alterazione inconsapevole del comportamento delle persone in modo prevedibile. Nel caso in cui ad incorrere in conflitto di interessi sia il titolare della carica politica questo decadrà dalla carica; nel caso in cui, invece, il conflitto di interessi sia stato riconosciuto ad un’azienda privata, dovrà pagare una sanzione pecuniaria.
La legge non si applica a partiti politici o movimenti che utilizzano piattaforme trasparenti, open source, con algoritmi controllabili in qualsiasi momento da un’autorità terza.
Il M5S ha messo sul piatto il conflitto di interessi? Benissimo, il PD c’è! Siamo pronti ad approvare le norme in qualsiasi momento. Sperando che questa proposta di Di Maio riguardi davvero “il conflitto di interessi nella società digitale” e non il banale “interesse per il conflitto”, ancora una volta, per una campagna elettorale.