Intervista rilasciata a Francesco Ghidetti, pubblicata su QN
«PD all'opposizione? Benissimo. Ma chiedo sommessamente: opposizione senza sapere a che cosa? No, non è una buona idea».
Francesco Boccia, deputato Pd, pugliese doc, compagno di avventure politiche del governatore Michele Emiliano, ha l'eloquio pacato. Non urla. Ma non le manda a dire. Andrea Marcucci, capogruppo al Senato, ve le ha cantate chiare: 'Pd all'opposizione. Chi la pensa in modo diverso lo dica'. Proprio non ce la fate a rinunciare alle poltrone, eh? «Seggiole, in fiorentino si dice seggiole. E io, francamente, è parola che ho sentito dire solo a Matteo Renzi».
Polemico. «No, è che sono sfinito da queste intemerate. Roba per una bella psicoterapia di gruppo. Ci vado io per primo. Ma a una condizione: che si ricominci a parlare di politica. Tutti 'sti tweet e poi ti meravigli se le cose non vanno. Oltretutto mi chiedo, visto che anche Carlo Calenda mi ha bacchettato: dove trovano tutto questo tempo per stare sui social?».
Mentre voi tramate per un governo con Giggino Di Maio? (risata fragorosa) «No, questa storia dell' intrigo anti-Renzi, che qualcuno attribuisce anche a Dario Franceschini, è comica se il momento non fosse tragico».
Va bene. Ma volete strapuntini o farete opposizione? «Provo a rispiegarmi. Non ho detto di andare al governo coi Cinquestelle. Credo però che fare opposizione e basta senza un obbiettivo sia miope. Se ci sono temi che condividiamo perché mai dovremmo chiudere ai Cinquestelle? Lo vogliamo capire o no che se il Mezzogiorno, tutto il Mezzogiorno, ha preferito Di Maio a noi ci sarà un motivo?».
E qual è? «Abbiamo smesso da troppo tempo di ascoltare. Abbiamo dato per scontato troppe cose e...».
Avete fatto liste in cui siete riusciti a escludere persino Daniele Marantelli, tesoriere del gruppo Pd alla Camera... «Non è stato l' unico errore. Potremmo fare tanti altri nomi. Mi faccia finire il ragionamento, però. Lo schiaffone del 4 marzo 2018 è la diretta conseguenza del percorso cominciato nel 2013».
Cioè? «Aver dato per certo che l'autosufficienza bastasse per vincere. Pensare che il trionfo alle Europee del 2014, con quel famoso 40 e rotti per cento, fosse la spia di un successo eterno. Non è andata così. Clamoroso errore distruggere lo spirito dell'Ulivo».
Addirittura l'Ulivo? «Nel 1995 da giovane ricercatore alla London School of Economics ho avuto la fortuna di incrociare sulla mia strada un gigante come Beniamino Andreatta. E la sua rispota su che cosa fosse l'Ulivo fu per me illuminante: l'Ulivo come unione fra le culture di progresso dominanti. L'Ulivo, che faceva fatica a trovare una sintesi su tanti temi come la politica estera e i diritti, ma che aveva un minimo comun denominatore: il solidarismo declinato nella centralità dell' azione politica con un' economia di mercato che andava regolata».
E Renzi avrebbe liquidato questo spirito? «Putroppo. Il Pd nasce nel 2007. Tanti limiti, vero. Eppure entrava nelle vene della società italiana. Cosa che il Pd di Renzi non ha fatto».
Anche l'autocritica non alberga nelle vostra fila. (sospira) «No, per questo chiedo che si discuta. Magari non facendo assemblee nazionali che durano poche ore per andare sui tg. Possiamo parlarci anche per più giorni».
Intanto, leghisti e grillini fanno il governo. «Mah, ne siete tutti così sicuri? Io, no. Per questo dobbiamo ascoltare il Movimento Cinquestelle senza spocchia. Chi lo ha votato, in molti casi, viene da noi. Fare i duri e puri sarebbe una mancanza di rispetto verso i nostri ex elettori che devono smettere di essere ex e tornare da noi».
Anche i 'traditori' di Leu? «Di sicuro. Io ho studiato tanto in Inghilterra. Sogno un partito laburista. Una volta tocca a Blair, l'altra a Corbyn».
Senza Renzi, magari. «No, affatto. In quel 18,9 per cento c'è molto di Renzi. Faccio un appello: Matteo, discuti con noi. Aiutaci. Nessuno vuol processarti. Facciamo tornare forte la nostra comunità. Dai, Matteo, dacci una mano».
E i grillini? «Allora è una fissazione... Ascoltiamoli. Con attenzione».