Intervista rilasciata ad Enrico Marro, pubblicata sul Corriere della Sera
ROMA Il governo prima presenta e poi ritira un emendamento al decreto sulle banche venete che, tra l'altro, concedeva un anno in più a Intesa Sanpaolo per la gestione dei crediti ad alto rischio. Che cosa è successo? «La solita liturgia di questi anni - risponde Francesco Boccia, presidente della commissione Bilancio della Camera e tra i leader dell'opposizione interna al Pd renziano -. Il ministero dell'Economia pensa che Parlamento sia un corollario e così non c'è da sorprendersi se spuntano emendamenti discussi fuori».
Cioè concordati con la stessa Intesa? «Intesa fa il proprio mestiere. Non credo che pensasse alle banche venete, fino a quando non è stata trascinata dal governo in questa acquisizione, anche se poi la politica ipocrita dice che sono operazioni di mercato. In realtà, mercato telecomandato dalla politica, dove se la prima banca italiana si ritrova a dover agire per ragioni di Stato, cerca di limitare i danni. Succede quando ci si riduce all'ultimo momento».
Con chi ce l'ha? «È mancata una visione d'insieme sul sistema bancario dopo la lunga recessione. Il conto che l'Italia paga è la differenza tra i 40 miliardi di sofferenze del 2008 e i 200 del 2016. Premesso che la responsabilità storica è del governo di centrodestra e poi di quello Monti nell'aver sottovaluta la portata delle sofferenze bancarie, quando guidi l'economia non puoi limitarti a dire di chi è la colpa ma devi intervenire. Ma dal 2013 al 2015 ho sentito solo diagnosi sbagliate. Il sistema è solido, si diceva. Ma era vero solo per una parte». Ce l'ha col ministro Padoan. «Se Padoan avesse avuto l'umiltà di ascoltare i warning che il Pd già lanciava nel 2013-14... Il partito proponeva di costituire un fondo metà pubblico e metà privato di 20 miliardi, con i quali avremmo potuto garantire sia gli aumenti di capitale sia la gestione delle sofferenze. Ma Padoan e il suo predecessore Saccomanni rispondevano sempre che non c'era bisogno dello Stato perché ci avrebbe pensato il mercato. È finita come è finita. Di qui l'intervento scomposto sulle 4 banche regionali, che ha richiesto ben tre decreti. Poi è toccato a Mps e anche qui la tesi del governo è che sarebbe stato salvato dal mercato, mentre sono stati necessari 20 miliardi dei contribuenti. Infine, le venete, il cui aumento di capitale era già stato fatto da Atlante, con dentro Cdp, ma che è evaporato».
Condivide la posizione di Michele Emiliano, per il quale il decreto è invotabile? «La lettera di Emiliano è un grido di dolore legittimo. Sono stati bruciati aumenti di capitale e nessuno ne vuole rispondere, mentre secondo la versione iniziale del decreto non sarebbero stati tutelati gli obbligazionisti subordinati successivi al giugno 2014. Ma qui parliamo di migliaia di famiglie che pensavano che l'intervento di Atlante avesse messo in sicurezza la banca. Ora si va verso una modifica che amplia la platea degli obbligazionisti tutelati fino ai sottoscrittori entro il febbraio del 2016. Un passo indispensabile per rendere votabile il decreto».
Secondo Padoan la cifra dei 17 miliardi per le banche venete è ipotetica e c'è anche il caso che lo Stato non ci rimetta un centesimo. «Temo invece che sborseremo tutto quello che è necessario. Quando una spesa è autorizzata, raramente ho visto non effettuarla. E la cosa che mi indispone è che alla fine i focolai li abbiamo spenti con risorse dei contribuenti o delle banche italiane. Mi sarei invece aspettato un contributo dalle grandi banche di affari internazionali, sempre in prima fila quando si tratta di privatizzazioni o di piazzare al governo derivati sul debito pubblico. A loro avremmo dovuto chiedere di partecipare a queste "operazioni di mercato"».