Articolo pubblicato sul blog di Huffington Post
Congresso. Non è un insulto, non è un'offesa, chiederlo non è lesa maestà. O almeno non dovrebbe mai essere percepito così nel Pd. Invece oggi assistiamo a una continua fuga dei vertici del mio partito che si scervellano per accampare scuse e scorciatoie: un giorno è lo Statuto (che, in realtà, tutela il confronto e non le scorciatoie); un giorno sono le primarie (che ben vengano, come qualsiasi atto di democrazia, ma come atto conclusivo del congresso); un giorno è "la minoranza che non ha voluto anticipare il congresso".
Vorrei sapere, intanto: chi non ha voluto anticipare il congresso? Quale presunta minoranza avrebbe sottoscritto un accordo e dove? I tanto bistrattati e rottamati caminetti sono stati forse riesumati? È ancora possibile confrontarsi e discutere in casa nostra o no? Io come tanti altri iscritti chiedo un congresso dal 5 dicembre, lo chiedo con insistenza.
Lo abbiamo chiesto formalmente in direzione e in assemblea il 18 dicembre, ma Matteo Renzi è sempre stato sfuggente parlando solo di anticipazione del voto. Che piaccia o no il 4 dicembre si è chiuso il nostro ciclo politico di questi ultimi 4 anni. I risultati del referendum costituzionale si possono ignorare, si può anche non fare un'analisi della sconfitta, ci si può nascondere dietro l'ennesimo discorso fingendo un mea culpa che nei fatti non c'è mai stato.
Ma la realtà è che il 4 dicembre è cambiato tutto, nel Pd e nel Paese. E una classe dirigente scaduta, un segretario scaduto, un'assemblea e una direzione scadute che hanno preso una sonora batosta alle urne dovrebbero solo avere il buon senso e l'umiltà di fare un passo indietro, aprire il congresso con qualche mese di anticipo e lasciare che siano gli iscritti e i militanti a decidere, sulla base delle mozioni in campo, quale sia la linea che il Pd deve seguire: dall'Europa, oggi priorità assoluta, alla modernità connessa all'economia digitale, dalle vecchie e nuove povertà, alla scuola, alle banche e ai risparmiatori, all'organizzazione stessa del partito fino alle alleanze.
Sull'Europa il Partito Democratico è chiamato alla sfida più grande e difficile degli ultimi cinquant'anni. Un congresso serio e profondo, per confrontarci su quale Europa vogliamo, senza slogan e con un pensiero lungo. A più velocità? Non sono convinto sia la strada giusta. Oggi alla politica è chiesto coraggio. Ci sono già troppe velocità: dalla moneta per alcuni, a Schengen per altri, alla Difesa con visioni diverse, dall'unione bancaria all'immigrazione, dal mercato unico al fisco, al welfare su cui ognuno fa quel che gli pare.
Un grande partito della sinistra europea non può non avere l'ambizione di sfidare i populismi e i cosiddetti sovranisti, ripartendo da una solida convinzione di sinistra: persona al centro e mercati sempre e comunque regolabili perché il capitalismo è sempre riformabile. Su come farlo possiamo avere ricette alternative e un congresso serve proprio a questo.
Su fisco, welfare e, soprattutto, sull'economia digitale Juncker, da destra, ha preso solo tempo, confermando la sua scarsa volontà di cambiare il corso della vita istituzionale dei centri dell'elusione fiscale in Europa, come l'Irlanda o il suo Lussemburgo. Anche il nostro segretario, da sinistra, ha girato la testa dall'altra parte. Draghi, in un accorato appello, ricorda l'irreversibilità dell'Euro. Un appello condivisibile, ma va difeso con la politica.
E la politica deve scegliere: o si sta con l'Europa e la si crea davvero o si finisce con Salvini, Grillo, Le Pen, Wilders e altri emergenti. Quell'appello rischia, senza scelte politiche forti verso gli Stati Uniti d'Europa, di essere spazzato via dai tanti sovranisti. L'Europa va ricostruita ed esiste una sola via: moneta, mercato, fisco, welfare e difesa comune.
Confronto, centralità della persona, riformabilità del capitalismo, autocritica dopo una sconfitta, contendibilità del partito, sono comportamenti e principi distintivi dei democratici che ci hanno tenuto insieme dall'Ulivo del 1995 fino a oggi. Oggi il Pd sembra avere smarrito il senso di comunità. Il Congresso serve a unire, a ritrovarci sotto una stessa bandiera, e consente a chi vince di avere la certezza del sostegno di tutti gli altri. Renzi deve solo e semplicemente ritrovare il coraggio del confronto. Senza paura, credendo nel Pd e nella funzione della sinistra.