Intervista rilasciata a Francesco Strippoli, pubblicata sul Corriere del Mezzogiorno
BARI Subito il congresso per aprire il confronto e non trasformare il Pd in una «congrega di impiegati della politica».
Il deputato Francesco Boccia è schierato con Emiliano da tempo. Non esita a dargli manforte nella richiesta di aprire la stagione congressuale.
Perché andare a congresso? Non è il momento della tregua?
«Come si fa a pensare alla tregua dopo una segreteria di 4 anni, in mezzo un governo durato poco meno e il risultato di un referendum storico? Se un segretario teme il confronto, significa che ha a cuore la carriera e non il partito».
Il congresso a cosa servirebbe?
«Non a un regolamento di conti interno. Servirebbe ad unire i gruppi dirigenti su una nuova idea di partito. È evidente che l'idea proposta da Renzi è andata a schiantarsi. La sua idea di società è fallita. Non ha funzionato il proposito di fare le riforme con i cespugli del centrodestra e di farle passare con una minoranza di italiani. Il Pd ha perso l'identità di sinistra: ci hanno voltato le spalle la scuola, gli ultimi e la classe media».
Dunque?
«E allora, con questi scenari, il minimo è confrontarsi per vedere quale nuova idea per il Paese coltiva il Pd. Invece ci si nasconde dietro un comma».
Sono le regole del vostro statuto.
«Se è per questo, ricordo che quando Renzi "non aveva paura di nessuno" ottenne dall'allora segretario Bersani il superamento dello statuto: si fecero le primarie senza che fossero previste dalle regole, solo perché Renzi le chiedeva sui giornali. E Bersani era il leader in carica, mentre ora parliamo di un segretario in scadenza. Ad ogni modo, lo statuto (articolo 5) dice che il congresso viene convocato sei mesi prima».
Renzi scade a dicembre, sarebbe a giugno.
«A maggio, secondo i miei calcoli. Per andare a congresso occorrono il regolamento, le commissioni, le procedure. Domani è febbraio: mi chiedo dove sia lo scandalo a chiedere le procedure per il congresso. La sensazione è che Renzi abbia paura del confronto e della perdita di potere. Così rischia di fare l'errore più grande, perché il referendum l'abbiamo perso tutti»; ma se continua in questo modo provocherà da solo l'implosione del Pd e del centrosinistra».
Non è esagerato minacciare "carte bollate", come fa Emiliano?
«È un modo per dire che le regole vanno rispettate. Non si rispettano i tempi se non apri le procedure. Con Emiliano, Ginefra e La Forgia, nella prossima direzione, chiederemo un referendum interno al Pd: occorre la firma dei 5% degli iscritti. La domanda è semplice: se nell' anno della scadenza sia opportuno celebrare il congresso. E la seconda: se gli iscritti si sentono soddisfatti sulla posizione del partito su scuola, lavoro, banche».
E se non si potesse fare?
«Se non ci consentono il referendum vorrà dire che il partito è stato preso in ostaggio. E che qualcuno ha deciso di trasformarlo in una succursale della Casaleggio associati. Niente carte bollate, va bene, per queste cose basterebbe una email. Magari bollata».
Lei scherza, la situazione è seria.
«Lo so. Quello che mi preoccupa è il deficit di democrazia e il surplus di silenzio da parte di troppi colleghi. Si dice: parliamo in direzione. Ma cosa volete che possa dire una direzione scaduta? Continuando così, rischiamo di sembrare una congrega di impiegati della politica».
Emiliano sulla scena nazionale è un danno per la Puglia?
«Siamo in una fase di emergenza. Penso che i pugliesi siano consapevoli della situazione e vogliano evitare il cupio dissolvi di un partito. Nei prossimi 3 mesi si gioca il destino dell'Italia nei prossimi 10 anni».