Intervista pubblicata su Il Mattino
Con la sua digital tax Francesco Boccia è stato un pioniere nel chiedere un argine contro il gettito fiscale che le multinazionali dell' Itc non pagano all' erario italiano.
Tra molte critiche, comprese quelle di Matteo Renzi, propose di «far aprire una partita Iva a chi opera in Italia e applicare sui beni comprati in internet la stessa Iva presente nei canali di vendita tradizionale. È una questione di libertà prima che fiscale: come in tutte le rivoluzioni industriali non si può permettere che i guadagni si concentrino nelle mani di pochi, che poi possono decidere anche chi ha libertà di parola».
La notizia della multa Ue contro Apple gli arriva in America, dove è in vacanza e dove a settembre uscirà un saggio su questi temi, The challenge of the digital economy.
«Paradossalmente questo dibattito è nato proprio prima qui che in Europa. I primi a ribellarsi perché il Pil saliva, ma il gettito scendeva sono stati propri gli Stati che incassavano meno tasse. Come il democratico Illinois di Barack Obama».
Soddisfatto della decisione della Ue?
«Queste multe sono soltanto la certificazione del fallimento di un' intera classe dirigente. Non ricordo il presidente Juncker fare pressioni su Irlanda o Lussemburgo per ridurre i loro vantaggi fiscali. Lui e il mio stesso compagno di partito Schultz non sono in grado di comprendere come è cambiato il mondo in questi anni».
Che cosa non hanno visto?
«Purtroppo i grandi Paesi e l' Europa hanno dimostrato di non avere capito che l' economia sarebbe diventata digitale. Hanno insistito nel mantenere lo schema deciso nel 1993, quando si decise di distinguere a livello fiscale tra multinazionali tradizionali con stabile organizzazione e non, per fare sviluppare il digitale. Scelta giusta, ma in questi vent' anni una politica lungimirante avrebbe dovuto capire che, stravolta la catena del valore (pensiamo a quello che è successo nel commercio come nel turismo), doveva cambiare anche la parte fiscale. E l' imposizione indiretta è l' unico vero collante in Europa».
Chi la critica, dice che non si può tassare un' economia leggera come quella pesante.
«Faccio un esempio banalissimo: se compro un libro da Feltrinelli, questa come le altre librerie scontano dal prezzo di copertina il quantum per la cassiera, le utenze e le tasse. Se compro su internet lo stesso volume, lo pago di fatto lo stesso, ma Amazon o chi per lei me lo invia da un magazzino italiano, e non spende un centesimo per la cassiera, le utenze e soprattutto le tasse. È una forma di dumping inaccettabile».
Renzi è stato il suo più acerrimo nemico.
«Veramente il principale nemico di quella norma fu Grillo, che ripudiò i suoi parlamentari che l' avevano votata in Commissione. Noi siamo partiti nel 2010, ma prima Letta non ebbe il coraggio di imporla all' Europa, poi Renzi la cancellò dalla legge di stabilità del 2014. Lo scontro con lui fu durissimo: parlò di nuvoletta di Fantozzi e cosa antistorica. Io gli risposi che non basta mettersi i Google glass per entrare nella modernità. Poi, l' anno scorso, il premier ha promesso di introdurre la digital tax dal 2017».
Si dice che così il governo voglia recuperare 1,7 miliardi.
«Penso che si possa incassare anche più. Io e l' ufficio studi della commissione Bilancio della Camera abbiano stimato una base imponibile di 30 miliardi. Senza volere un salasso, e applicando le aliquote attuale, il gettito è di almeno 3 miliardi di euro».
Intanto si susseguono a Palazzo Chigi, l' ultima con Zuckerberg, le passerelle dei giganti di internet...
«Non c' è dubbio che sia così. Si spera in benefici in termini di investimenti e lavoro che sono minimi. Si ragiona soltanto in ottica di breve tempo. Dire certi no adesso serve per aiutare le future generazioni».