“Renzi deve smettere di ripudiare cinicamente quelli che non la pensano come lui. E su Ilva e credito non ci siamo". A parlare così non è un “civatiano” o un membro del Pd pronto ad abbandonare il partito, ma Francesco Boccia, presidente della Commissione Bilancio della Camera, in esclusiva per Affaritaliani.it
“Renzi deve smettere di ripudiare cinicamente quelli che non la pensano come lui. Il metodo ISIS non funziona”. A parlare così non è un “civatiano” o un membro del Pd pronto ad abbandonare il partito, ma Francesco Boccia, presidente della Commissione Bilancio della Camera. Un “pezzo da 90” del Pd che si schiera apertamente contro il suo leader, ma che al tempo stesso chiede responsabilità a tutti coloro che, in questo momento, si sentono messi in un angolo dallo strapotere di Renzi e del renzismo. Intanto, il consiglio dei ministri si riunirà per discutere dell’Investment Compact, una serie di misure strutturali che dovrebbero ridare slancio alle piccole e medie imprese ma che ha già fatto molto discutere per una norma che vorrebbe cambiare la governance delle Banche Popolari, abrogando il voto capitario e costringendo il Credito Cooperativo a diventare Spa. E c’è chi dice che questo sia il prodromo di una serie di salvataggi di istituti di credito in difficoltà (su tutti, Carige e Mps) che non potrebbero essere assorbiti dai big del credito, come Intesa e Unicredit, per problemi di monopolio.
Onorevole Boccia, che cosa pensa dei provvedimenti contenuti nell’Investment Compact?
Intanto, se iniziassimo a utilizzare la lingua italiana per chiamare i provvedimenti – invece di un inglese imparaticcio, impiegato da persone che spesso neanche conoscono la lingua - eviteremmo di creare quest’enfasi, che solitamente si traduce in nulla, intorno a provvedimenti di natura economica.
Si è molto discusso, in particolare, della norma che costringerebbe le Banche Popolari a cambiare governance…
Spero che il governo faccia una seria riflessione su che cos’è il credito: smettiamo con la propaganda, non mi interessa se ci sono tante o poche banche, voglio credito alle aziende. E questo oggi non c’è. Non penso che l’opzione di obbligare all’aggregazione possa essere la soluzione a tutti i mali. Un conto è contemplarne la facoltà, un conto è la costrizione.
Nel provvedimento discusso dal cdm c’è anche la possibilità per le piccole aziende di ricorrere alla Borsa come strumento per raccogliere credito.
Scopro con piacere che finalmente si è scoperta l’esistenza della Borsa. Ogni giorno ci si scontra con l’immobilismo del governo, basti pensare al recente passato. Mi riferisco a quando, facendo un’inversione a U clamorosa sui Nomad (soggetti che dovrebbero consentire la quotazione sull’AIM alle piccolissime imprese) non essendoci un credito che arriva da vari canali. Questo provvedimento prevedeva la possibilità di quotare le piccole imprese. Ma all’improvviso Borsa Italiana ha obbligato i Nomad a trasformarsi in SIM, ricreando la liturgia a cui siamo abituati. Eppure nessuno ne parla. Oggi, improvvisamente, torna in agenda la possibilità di quotare le banche. Ma, personalmente, sono stanco della propaganda fine a se stessa. Voglio che ci sia la possibilità di ristrutturare il credito, mantenendo la governance preferita dagli istituti di credito. Se poi ci saranno ulteriori incentivi, di altra natura, ben vengano. Ma così no.
C’è chi dice che questa norma sia stata pensata per accorpare le Banche Popolari tra loro o con soggetti in difficoltà, come Mps o Carige
Voglio dirlo con estrema franchezza: le aziende che non funzionano, anche se sono aziende del credito, devono essere lasciate “andare”, tutelando gli azionisti ma non per questo rivoluzionando il sistema economico per salvare il salvabile. Iniziamo a utilizzare la trasparenza, valore che non vedo nelle scelte di politica economica. Mi auguro davvero che sia l’ultimo annuncio. Da dirigente del Partito Democratico auspico invece un rapido confronto sull’unico tema che interessa le famiglie: l’accesso al credito. E questo non può certo essere discusso dimenticando il rapporto profondo che lega alcuni istituti di credito al territorio di appartenenza. Non è certo accorpando le banche che si danno le risposte attese.
A proposito di attese, la sua durezza è quasi inaspettata… Segue, tra l’altro, analoga intransigenza sulla questione Ilva, anch’essa al centro del dibattito dell’Investment Compact
La mia durezza sulle popolari è figlia di un malcontento nei confronti di un approccio seriale alle questioni economiche. Lo stesso discorso si può fare sull’Ilva. Ogni volta mi sfugge qual è il bene collettivo di questi provvedimenti. Continuo a intravedere soltanto il bene specifico, che si rivolge a pochi e non alla collettività. Su Ilva ero contrario – e lo rimango tutt’ora – all’amministrazione straordinaria. Si crea un precedente pericoloso. In pratica, si dice che la legge esistente non vale più, e si marginalizza il ruolo dell’amministrazione giudiziaria.
Qual è la sua ricetta per l’Ilva?
Prima di tutto è fondamentale riprendere il tema delle bonifiche: vanno fatte! E l’azienda potrà ricominciare a produrre solo dopo averle effettuate. Peccato che i soldi in cassa non ci siano, e che tocchi quindi allo Stato accollarsi le spese. Ma a questo punto si dà la stura a una nazionalizzazione dell’Ilva: che mi sta anche bene, purché, però, questa venga fatta da un’azienda pubblica. C’è poi un altro tema critico che troppo facilmente si dimentica: a partire dal primo commissariamento, quello di Bondi, abbiamo sempre detto alle aziende fornitrici di Ilva: “fidatevi, perché dietro al colosso c’è lo Stato”. Stiamo parlando di 2-300 piccole e medie imprese che in alcuni casi legano la loro vita a queste forniture. Ora invece, con l’amministrazione straordinaria, si chiede loro di “mettersi in coda”. E questo non va bene, è una cosa folle. Mi auguro che il Governo intervenga tempestivamente sulla questione.
Un’ultima domanda: ancora oggi Civati ha sostenuto l’ineluttabile scissione del Pd. Lei che cosa ne pensa?
Non mi rassegno alla fine del sogno iniziato vent’anni fa. Un sogno realizzato da fondatori illuminati – alcuni dei quali scomparsi, come Beniamino Andreatta – che ha consentito prima la realizzazione dell’Ulivo e poi la trasformazione in Pd. È il sogno di una sinistra moderna, riformista ed europeista. Non può finire tutto in una sola giornata solo perché c’è un gruppo dirigente che rischia di portarci sulla strada sbagliata. L’ho già detto a Civati, mi auguro che i miei compagni di partito siano responsabili. Al tempo stesso, però, capisco perfettamente il disagio, l’umiliazione continua di essere trattati come dei reietti. E anche questa continua propaganda è francamente insopportabile. Io parlo da presidente della commissione Bilancio della Camera, osservante di un ruolo istituzionale. Difendo la maggioranza di cui faccio parte, anche quando non condivido le strade intraprese (ma in quel caso combatto duramente). Siamo una grande comunità politica e, come è stato chiaro coi precedenti segretari, le altre voci all’interno del partito sono un valore aggiunto. Renzi non può pensare che chi non condivide la sua visione vada cinicamente ripudiato. Il modello ISIS non serve per gestire il partito.
Che cosa pensa, allora, delle durissime accuse mosse da Cofferati dopo le primarie in Liguria?
Penso che Cofferati abbia sbagliato. Le primarie si possono perdere, se ci sono dei raggiri tocca alla magistratura e agli organi interni verificarle. Ma, tornando alla possibile frattura nel Pd, il giorno in cui dovessi pensare alla fine della mia esperienza nel Partito Democratico sarebbe il fallimento di un’intera carriera politica. Bisogna batterci per i principi e le idee fondanti, bisogna, insomma, essere sempre maggioranza.