RASSEGNA STAMPA

Economia digitale, risolviamo in Europa o andiamo avanti da soli

28.05.2014

da corriere.it

Il presidente della Commissione Bilancio: «I colossi d’Oltreoceano devono dichiarare al fisco l’intero fatturato ottenuto nei nostri confini». Attesa per il semestre italiano

Adesso ci siamo. Per il digitale sta finalmente per iniziare quel semestre europeo di presidenza italiana al quale sono state delegate gran parte delle tematiche affrontate nell’ultimo anno. L’adeguamento dell’Iva sugli e-book, ad esempio, ma anche la neutralità della Rete, toccata a Bruxelles del regolamento di Neelie Kroes che deve compiere gli ultimi decisivi passi proprio nei prossimi mesi. Uno dei temi più delicati sul tavolo è quello della tassazione delle Web company, la cosiddetta Web tax. L’Italia, ma non solo, ha provato lo scorso anno ad avanzare una proposta che è stato sforbiciata in dirittura d’arrivo per volontà dell’allora neo premier Matte Renzi. Del testo originario fortemente voluto e proposto da Francesco Boccia, deputato del Partito democratico e presidente della commissione Bilancio alla Camera, è rimasta solo la tracciabilità delle transazioni dirette alle casse di società straniere come Google o Facebook mentre l’obbligo di partita Iva italiana entro i nostri confini è stato accantonato. Oggetto del dibatto non è stata tanto la necessità, condivisa uniformemente, di regolarizzare la posizione di realtà che, gestendo le attività nel nostro Paese dalle sedi di Paesi più morbidi fiscalmente come l’Irlanda, rispettano di fatto la legge europea quanto il contesto più corretto in cui affrontare il problema. Ha prevalso la convinzione che fosse un caso da affrontare a Bruxelles, anche se non sono mancati tentativi di inserire nuovamente la norma con emendamenti ad hoc. Le ultime affermazioni in questo senso sono arrivate da Paolo Romani e Maurizio Gasparri, sponda Forza Italia, e da Sergio Boccadutri di Sel, che ci riproverà con l’approdo del decreto Irpef in Senato. Intanto la commissione Finanze della Camera si sta apprestando ad avviare un’indagine conoscitiva sull’economia digitale a livello globale: il via libera dovrebbe arrivare in giornata.

«Difficile che l’Irlanda dia l’assenso»
Secondo Boccia “a questo punto non ha senso andare avanti a botte di emendamenti. Dobbiamo discuterne in sede europea”. Al Corriere sottolinea come l’Italia abbia “aperto un dibattito culturale. Adesso Renzi ha davvero la possibilità di chiudere il cerchio”. Il deputato del Pd sembra quindi aver ben incassato il colpo sferratogli dal presidente del Consiglio, con cui condivide la bandiera ma con il quale è stato contrasto sull’argomento. Renzi fino a oggi si è dimostrato molto aperto nei confronti dell’innovazione digitale, l’ultima dichiarazione in ordine di tempo è a favore del servizio Uber, ma non è ancora entrato nel merito di possibili regolamentazioni. L’Europa sarà il posto giusto in cui scoprire le carte. Boccia, in realtà, si rivela poco convinto della possibilità di arrivare a un’intesa sulla Web tax a Bruxelles: “Essendo un problema di politiche fiscali ci vuole l’unanimità. Difficile che l’Irlanda dia il suo assenso, ha tutto l’interesse a rimanere un paradiso fiscale”, afferma. Chiare le idee anche su come muoversi nel caso in cui il braccio di ferro comunitario si concluda con un nulla di fatto: “Se non arriva una risposta entro il nostro semestre che assicuri il blocco di questi furti legalizzati bisognerà procedere autonomamente”.

«Dichiarare al fisco il fatturato ottenuto nei confini»
Come? “Il problema è la stabile organizzazione. Dobbiamo capire che non possiamo più consentire a una multinazionale di non avere un sede in un Paese solo perché non fabbrica beni fisici”, afferma. “Anche se vendono solo pubblicità o in Italia gestiscono solo i rapporti commerciali, i colossi d’Oltreoceano devono dichiarare al fisco italiano l’intero fatturato ottenuto nei nostri confini”. Boccia prende in considerazione anche la linea dura adottata dalla Francia, che ha bussato alla porta di Google France chiedendo una cifra compresa fra i 500 milioni e il miliardo di euro. Non è un problema né nuovo né mai sopito quello delle casse dei singoli stati. L’ultimo caso a (ri)balzare agli onori delle cronache è stato quello di Apple, che nel 2013 ha versato al Fisco italiano 8 milioni di euro a fronte di un fatturato di quasi 300 milioni. Boccia cita anche i “6 milioni di euro versati per le vendite di pubblicità online rispetto a introiti intorno al miliardo e mezzo di euro (cifra coerente con le stime Iab, nda), il 90% riconducibile a multinazionali straniere”. E mette nel calderone Google, che proprio un paio di settimane fa ha dovuto rendere conto al fisco statunitense dei 30 miliardi di dollari offshore. “Cosa accadrebbe se una società italiana si comportasse così?”, si chiede. In questo caso Mountain View ha spiegato di aver messo da parte il gruzzoletto per acquisizioni all’estero. All’Europa tutte le società sui cui è stata messa la lente di ingrandimento hanno sempre ribadito di agire secondo la legge in vigore, e così effettivamente è.

Armonizzazione dell’Iva
“Non possiamo più perdere tempo. Finora abbiamo buttato la palla in tribuna e abbiamo aspettato di vedere cosa sarebbe accaduto. Da Bruxelles devono arrivare risposte entro fine anno”, ribadisce Boccia. Il problema è che una possibile armonizzazione dell’Iva, che renderebbe Italia o Francia appetibili quanto l’Irlanda come sedi nel Vecchio Continente, è “in calendario per il 2015”, come ricorda l’avvocato esperto di digitale Guido Scorza. Per il presidente della Commissione Bilancio il tempo però è un fattore chiave: torna a parlare dei “138 milioni di euro che dovrebbero entrare a fine anno nelle casse dello Stato grazie alla norma sulla tracciabilità delle transazioni legate alla pubblicità online a fonte dei soli 6 milioni raccolti nel 2013” e riporta il tema in cima alla lista delle priorità nazionali con un confronto sull’equità fiscale che si terrà in giugno alla Camera. Hanno già confermato la loro partecipazione il presidente della Siae Gino Paoli e il presidente Mediaset Fedele Confalonieri, decisamente interventisti. “Le Web company non hanno ancora sciolto le riserve”, afferma Boccia. Secondo quanto risulta al Corriere della Sera non parteciperà alcuno dei grandi nomi interessati, la cui linea comune rimane quella di aspettare le decisioni dei legislatori.

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