Google tax, mai nome fu più sbagliato per descrivere una norma che ha il solo obiettivo di tutelare le imprese italiane dal sistema di totale concorrenza sleale in cui sono costrette ad operare. Un sistema talmente squilibrato che sta distruggendo, giorno dopo giorno, tutte quelle imprese che provano a barcamenarsi in un mercato, quello digitale, dove esiste un dominio incontrastato delle multinazionali del web.
Un sistema che permette a società estere di pagare le tasse nei Paesi dove hanno sede legale, ovviamente con un'imposizione fiscale nettamente più conveniente, triangolando indisturbate persino nei paradisi fiscali come se nulla fosse, anziché in quelli dove operano. Con l'emendamento approvato in commissione Bilancio vogliamo stabilire un principio di equità fiscale mettendo sullo stesso piano imprese italiane e multinazionali. Almeno di fronte al fisco.
L'imposizione fiscale legata all'economia digitale, al mercato della vendita di beni e servizi online e l'acquisto dei cosiddetti search adversiting va ripensata profondamente, dalle fondamenta. È un mercato con forti elementi di iniquità e occorre necessariamente una regolamentazione. Per questo motivo rimango stupito del dibattito che si è scatenato intorno a quella che è stata erroneamente ribattezzata «web tax», «Google tax», «Amazon tax», perché dà l'idea di quanto poco si conosca il tema e ci si limiti, spesso, a considerazioni superficiali.
In questo caso credo che i dati, ancor meglio delle parole, possono dare un quadro più esaustivo di come sia stata completamente stravolta la «catena del valore» per interi settori trasformati dalla rete: nel suo complesso l'economia digitale, definita come Digital Market, vale quasi il 6% del Pil mondiale e cresce a ritmi mai visti prima; la pubblicità online dal 2005 a oggi è cresciuta, in Italia, del 1.000%; nel 2011 le imprese hanno investito in comunicazione online circa 3 miliardi di euro tra above the line (pubblicità online 52,1%) e below the line (web marketing 47,9%); il mercato dell'e-booking è aumentato del 86%, per non parlare della crescita esponenziale delle piattaforme tecnologiche internazionali sui giochi; il valore complessivo dell'e-commerce in Italia è pari a 11 miliardi di euro, di questi l'80% sfugge al nostro fisco.
È assurdo che di questa crescita noi riusciamo ad intercettare soltanto le briciole. Il motivo? È semplicissimo: le nostre aziende che operano online e che pagano regolarmente le tasse al fisco italiano si trovano di fronte soggetti, in molti casi molto robusti, cui è consentito fare profitti non tassati. È o non è, questa, concorrenza sleale? Qui non si tratta, dunque, di aumentare l'imposizione fiscale, ma di creare regole uguali per tutti. Quella che furbescamente lobby potentissime hanno definito «web tax» non va a tassare gli utenti o le aziende italiane che le tasse le pagano già ma le multinazionali del web. E ci consentirebbe, tra le altre cose, di tracciare anche i flussi finanziari che fuggono all'estero.
Altro aspetto su cui se ne sono dette tante è legato al gettito che potremmo ricavare da questa norma. Dico soltanto una cosa: prima che iniziassimo questo dibattito il gettito era pari a zero. Adesso, già solo per la parte relativa alla tracciabilità, si parla di 130 milioni di euro. Vista l'emorragia finanziaria che sta subendo l'intero comparto direi che sarebbe già un bel passo in avanti.
Non mi addentro, invece, nella polemica fuori luogo e priva di fondamento sulla compatibilità con la normativa Ue, anzi, potremmo anche valutare di mettere da parte la questione «partita Iva» sul commercio elettronico se l'Unione europea si impegna, seriamente, a trovare un accordo entro il 2014, magari proprio durante il semestre di presidenza italiano. Ma sulla parte relativa alla pubblicità o al diritto d'autore no, perché stiamo parlando di aziende straniere che operano in Italia, vendono quasi sempre servizi italiani agli italiani, fanno profitti in Italia ed è giusto che paghino le tasse in Italia, come qualsiasi altra nostra azienda. È così eretico tutto questo?
L'autore è presidente della commissione Bilancio, tesoro e programmazione della Camera