Una schiaffo al Fisco da un miliardo di euro. A tanto ammonterebbe la somma evasa in Italia da Apple tra il 2010 e il 2011, stando alla notizia pubblicata sul sito del settimanale L'Espresso. La multinazionale di Cupertino è finita sotto inchiesta a Milano: ipotizzato il reato di dichiarazione dei redditi fraudolenta.
Il tutto mentre il governo lavora a una proposta di legge che mira a instaurare una web tax al fine di tassare in maniera appropriata le attività in territorio italiano dei colossi hi-tech, Apple compresa. Proposta fortemente voluta dal presidente della commissione Bilancio della Camera Francesco Boccia, sponda Pd. Che, saputo dell'indagine aperta a carico della filiale milanese della Mela, si è detto per nulla sorpreso: «Ancora non conosco bene la vicenda, ma quanto emerso dimostra che vi è la necessita di fare chiarezza in quest'ambito, come io stesso, da legislatore, avevo precedentemente avvertito. Del resto, nella relazione che ho fatto al Parlamento non ho esitato a parlare di chiare pratiche elusive».
Eppure finora Apple è stata una delle aziende hi-tech più generose col Fisco Italiano, avendo versato all'erario nel 2012 circa 3 milioni di euro a fronte di un giro d'affari che da noi ha superato non di molto i 2 miliardi. Lo stesso non si può dire di altre multinazionali del calibro di Facebook (192mila euro di tasse versati) e Amazon (poco meno di un milione)
"Che sia chiaro, io non ce l'ho né con Google né con Twitter, giusto per fare un paio di esempi illustri, sono tutte aziende straordinarie. Ritengo però che l'utilizzo di queste piattaforme internazionali tramite Internet causi in Italia un'emorragia di risorse finanziarie, oltre a un mancato gettito erariale. La dematerializzazione delle ricchezza, che caratterizza l'epoca in cui viviamo, richiede una regolamentazione su misura".
Intanto la web tax sta incassando numerose critiche. Per esempio da Stefano Parisi, presidente di Confindustria Digitale, nel cui Consiglio direttivo peraltro siede un rappresentante di Google...
"Sono allibito, senza parole, per la presa di posizione di Parisi. È la dimostrazione che in Italia manca la giusta sensibilità verso questo tipo di problematiche. Secondo Parisi la web tax non sarebbe compatibile con l'Europa ma non spiega perché. Se leggesse accuratamente la proposta si accorgerebbe che al contrario è congegnata apposta per essere in linea con l'Europa".
La Camera di Commercio Usa in Italia ha parlato di volontà punitiva nei confronti delle imprese...
Il nostro intento non è affatto quello di punire le aziende, ma di consentire anche agli operatori italiani di essere concorrenziali sul mercato, non permettendo più ad imprese straniere di realizzare pratiche che di fatto sono di concorrenza sleale. È un'operazione di giustizia fiscale che serve a mettere le multinazionali estere, le quali godono d'inspiegabili agevolazioni, sullo stesso piano delle nostre strart-up, che allo stato attuale risultano penalizzate.
Qual è l'entità del gettito che il balzello tecnologico genererebbe?
Non faccio previsioni al riguardo perché non è corretto farle. Sarà un gettito corposo e importante, di questo ne sono certo, da destinare alla riduzione del cuneo fiscale. Grazie a una tassazione equa e corretta vogliamo che le risorse che gli italiani spendono in Rete possano essere reinvestite al fine per esempio di rilanciare l'occupazione.
Il caso Apple potrebbe servire a dare una spinta alla tassa sul web affinché venga approvata nonostante le perplessità cha ha suscitato fin qui?
Personalmente me lo auguro, come auguro ad Apple di dimostrarsi estranea alle accuse mosse nei suoi confronti. Questa web tax finora è stata osteggiata da molti. E molti di quelli che si sono opposti al balzello intrattengono rapporti con i colossi della Rete che nemmeno si sono preoccupati di nascondere. A casa mia questo si chiama conflitto d'interessi.