da "La sottile linea rossa", il mio blog su l'Unità
“Le aziende americane dovrebbero capire che essere buoni cittadini nella Ue è incompatibile con un’evasione fiscale su larga scala”. E queste parole non le dice Francesco Boccia ma il commissario europeo all’agenda digitale. E non perché diventati tutti all’improvviso antiamericani ma solo perché stiamo parlando di un principio di giustizia ed equità che deve valere anche per l’intero mondo digitale.
Una frase, quella della commissaria Neelie Kroes, che racchiude il senso della nostra battaglia su quella che continuano a chiamare erroneamente e strumentalmente web tax quando sarebbe più corretto identificarla come un’imposta – sacrosanta, aggiungo io – sulle multinazionali della rete che non pagano le tasse.
I giganti del web – che penso abbiano sostituito le sette sorelle del petrolio in quanto a capacità d’influenza sulle decisioni sia politiche che di altro genere – non fatturano la pubblicità raccolta o le vendite realizzate nel nostro Paese ma registrano come ricavi i servizi prestati a un’altra società del gruppo. Questa società si trova in uno Stato a fiscalità più favorevole: Irlanda o Lussemburgo. Penso che ognuno possa trarne le conseguenze del caso. Dal 1 gennaio, invece, già con la sola attivazione della procedura di ruling per le imprese, prevista dalla legge di stabilità, entreranno nelle casse dello Stato minimo 130 milioni di euro, cifra che ha già ottenuto la bollinatura della Ragioneria dello Stato. Considerato che le entrate, finora, sono state pari a zero i conti da fare sono abbastanza facili.
Per interi settori, che ci piaccia o no, la catena del valore è profondamente cambiata, questo è un dato di fatto. Basti pensare che, nel suo complesso, l’economia digitale, definita come Digital Market, vale quasi il 6% del PIL mondiale. Io, come ho avuto modo di ripetere più volte, sono un sincero estimatore di quelle multinazionali del web che hanno cambiato il mondo. Ma queste stesse aziende, per lo più americane, hanno, allo stesso tempo, la grande responsabilità d’incubare il processo del futuro che verrà. E non possono farlo approfittando di un sistema che gli consente di eludere milioni e milioni di euro. Noi abbiamo il dovere di regolarlo quel sistema, di renderlo più equo dal punto di vista fiscale per dare uguali opportunità alle migliaia di nostre imprese che, a differenza di quei colossi, pagano regolarmente le tasse allo Stato italiano per ogni euro di profitto.
Per questo motivo quando leggo illustri pareri sulla questione, mi augurerei che arrivassero da docenti o da intellettuali o da ‘esperti’ che magari non ricoprono anche incarichi di gestione o amministrazione all’interno di società del settore: così, tanto per non mischiare la sapienza dottrinale con la sicurezza del portafoglio. Perché a queste personalità mi verrebbe da chiedere da che parte stanno. Dalla parte delle nostre aziende che potranno finalmente operare in un sistema di concorrenza leale o dalle parte degli elusori fiscali internazionali?
Io non posso sapere cosa deciderà l’Ue nei prossimi mesi né mi intimoriscono folkloristiche reazioni di europarlamentari esagitati o tecnocrati che parlano per nome e per conto di qualcun altro. L’unica cosa certa è che tutti i paesi europei si stanno muovendo esattamente come si è mossa la commissione Bilancio prima e il Parlamento italiano poi. Lo sta facendo la Francia, la Germania, la Spagna e, grazie al presidente Letta il tema sarà all’ordine del giorno del consiglio europeo della prossima primavera. Il sasso che abbiamo lanciato con la nostra proposta ha avuto il primo effetto desiderato.
Non ho mai avuto la presunzione di far cambiare idea a chi la pensa diversamente da me, ed è così anche in questo caso. Ma mi auguro di poter vivere in un paese in cui ci sia, quantomeno, un rispetto reciproco. E credo che questo non stia accadendo. Continuo a ritenere che un’Italia giusta si fondi su uguali condizioni di partenza per tutti. Che oggi, evidentemente, non ci sono.
Ecco, è tutto qua, la fantomatica web-Google-Amazon tax, che dir si voglia, diventata nelle ultime settimane quasi uno spauracchio è solo il tentativo di riportare un po’ di giustizia fiscale in un sistema fagocitato da 4-5 grandi colossi che per un vuoto normativo hanno avuto la possibilità, per anni, di fare profitti non versando all’erario quanto dovuto. Dal 1 gennaio però cambia tutto. E cambia tutto, lo voglio dire ancora una volta a tutti coloro che si ostinano volutamente a non capire, non perché ci saranno nuove tasse a carico di cittadini o imprese italiane perché loro le tasse le pagano già, ma solo perché Agenzia delle Entrate e Gdf avranno a disposizione i meccanismi più appropriati per tracciare i volumi realizzati in Italia dalle multinazionali.