da "La sottile linea rossa", il mio blog su l'Unità
Un Comitato di gestione cui affidare le operazioni di bonifica dell’Ilva, formato da rappresentanti di azienda, governo, sindacati, tribunale e lavoratori. E da un’Autorità che verifichi lo stato dell’inquinamento ambientale. E soltanto successivamente far scattare il controllo del garante. Era questa la proposta che, già lo scorso dicembre, avevamo avanzato per gestire una crisi industriale, ambientale, lavorativa, come quella dell’Ilva di Taranto. Perché credo – come molti colleghi in Parlamento – che per grandi aziende di Stato con problemi accertati di risanamento ambientale sarebbe stato necessario e, senza dubbio più efficace, introdurre una cogestione fino a completamento delle bonifiche. E credo, ancora adesso, che quella sia l’unica strada percorribile per potere, allo stesso tempo, tutelare il diritto al lavoro, realizzare le bonifiche di cui Ilva necessita e scongiurare il pericolo che un’azienda di primaria importanza per l’intera siderurgia italiana possa chiudere i suoi impianti.
Perché qui il rischio è proprio questo, che si dovrà chiudere tutto, con buona pace di chi vi lavora, di chi vi ha investito, di chi, in quella azienda, ha creduto e continua a credere. Ed è un rischio che, è evidente, non possiamo permetterci. Non possiamo permetterlo perché il comparto siderurgico è strategico per il Paese, perché Taranto e la realtà tarantina – e lo dico da persona che conosce bene quella realtà, avendo curato tra il 2006 e il 2008, il dissesto del comune – vivono anche di Ilva. Per questo motivo il nostro obiettivo principale deve essere quello di continuare la produzione di acciaio, senza alcuna interruzione. Ma di farlo, però, rispettando – come ho già avuto modo di dire su questo blog – ambiente e salute di cittadini e lavoratori.
È evidente che la famiglia Riva, in questa crisi che ha coinvolto Ilva, ha responsabilità ben precise. È inutile negarlo. Basta un dato: le scarse risorse investite negli ultimi 15 anni per le bonifiche e l’ammissione (accettando le prescrizioni dell’Aia) della necessità di interventi consistenti, superiori certamente a 3 mld di investimenti. Che vuol fare, quindi, adesso? “Nessuna proroga rispetto ai tempi fissati dall’Aia” si legge in una nota dell’ufficio stampa del ministero dell’Ambiente di qualche giorno fa. Quindi? Stando così le cose, la famiglia Riva è, oggi, in grado di rispettare, nei tempi stabiliti, gli impegni presi in questi mesi? Mi pare di no.
Si impegnano a portare a termine tutte le operazioni di bonifica di cui l’azienda ha urgente bisogno, invece che minacciare ripercussioni sui posti di lavoro? Temo, a quanto si legge in giro, che la risposta sia, anche in questo caso, negativa.
Allora, si mettessero da parte. Perché a noi non interessa – e voglio dirlo con grande franchezza –salvare i Riva ma vogliamo, a tutti i costi, salvare l’azienda. E se loro non vogliono farsene carico allora sarà necessario pensare a soluzioni alternative. A quel punto, allora, si potrà anche pensare a ipotesi più radicali, in cui sarà lo Stato, in prima persona, ad intervenire, con soluzioni che potranno prendere anche nomi diversi: amministrazione straordinaria, commissariamento o nazionalizzazione.