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28.02.2009 - Intervista con Curzio Maltese - La Repubblica

28.02.2009

Intervista di Curzio Maltese apparsa su La Repubblica il 28 febbraio 2009

"La sfida sui nomi ha stufato al congresso gara di idee"

Francesco Boccia, economista, quarantenne, il tipico anglo-meridionale, nel senso di un cosmopolita nato a Bisceglie, laureato alla Bocconi e con un bel curriculum post universitario fra Londra e gli Stati Uniti.

Una delle migliori teste economiche del centrosinistra. Una pecca calcistica, per alcuni, che confessa subito. «Sono juventino e il giorno di Chelsea-Juve per sbaglio avevo accettato un dibattito in una sezione della periferia romana. Ci sono andato malvolentieri, ma appena arrivato mi s´è aperto il cuore. Una massa di persone. Non vedevo tanta partecipazione da anni. Abbiamo finito di discutere a notte fonda. Ed è così dappertutto in questi giorni, a Roma, a Milano, come a Lecce».

Gli elettori del centrosinistra tornano nelle sezioni nei momenti di crisi, per chiedere che cosa?

«Scelte nette, modernità, rinnovamento dentro e fuori il Partito Democratico. La fine di un dibattito incentrato sul proprio ombelico, sulle vecchie appartenenze a Dc e Pci».

L´abbiamo già sentita, le pare? Nel frattempo Berlusconi fa il conto dei leader del centrosinistra mandati a casa.

«Si vanta, nel suo stile. Ma dimentica di aggiungere che a casa li abbiamo mandati anzitutto noi, non lui. A cominciare da quello che l´aveva battuto due volte».

Che cosa non funziona nel centrosinistra, ormai da quindici anni?

«Non abbiamo mai proposto una visione di società alternativa rispetto a quella della destra, che ormai è rimasta la sola visione in campo. Abbiamo cambiato sigle, marchi, non sostanza. L´altro giorno mi ha colpito il discorso di un leghista che ricordava come il simbolo della Lega fosse diventato il più vecchio in Parlamento».

Avete cambiato una sigla all´anno, ma le facce sono sempre rimaste le stesse. Il Labour o il Psoe si chiamano così da oltre un secolo, ma quando s´è trattato di cambiare hanno scelto Blair e Zapatero che avevano la sua età, quarant´anni.

«Ma là le facce sono arrivate al seguito delle idee, di scelte. Qui mancano anzitutto le scelte».

Per fare qualche esempio?

«Al prossimo congresso si rischia una sfilata di nomi. Io invece vorrei votare linee diverse. Fra chi vuole essere autonomo dai sindacati e chi no, fra chi è per la laicità dello Stato e chi no, fra chi propone un welfare per i giovani e chi vuole conservare l´attuale. Poi guardiamo se i titolari delle proposte sono giovani o vecchi, brutti o telegenici, alti o bassi, milanesi o siciliani».

Alle primarie lei ha votato Enrico Letta. Veltroni ha fallito. Avevate ragione voi?

«No, aveva ragione Veltroni. Quello del discorso del Lingotto. Soltanto che quelle parole non le ha mai messe in pratica».

Altrimenti che cosa avrebbe dovuto fare Veltroni?

«Anzitutto fare un´opposizione sui valori. Sinistra e destra esistono ancora. La sinistra è solidarismo, primato della politica sull´economia, fedeltà alla Costituzione. La destra è il contrario di tutto questo. Ma ancora una volta la scelta sui valori è stato messa in secondo piano rispetto alla scelta strategica. Dialogo sì, dialogo no, ma su che cosa?».

Dove si può dialogare con la destra, secondo lei?

«Con questa destra, su nulla. Ma bisogna ripartire dai temi. L´Italia è l´unico paese al mondo dove la sicurezza o l´efficienza della giustizia sono temi di destra. A prescindere, alla Totò. Chi l´ha detto?».

Ma perché ogni volta che parlate di dialogo, gli elettori del centrosinistra traducono: inciucio?

«Perché al governo non abbiamo mai fatto nulla contro il conflitto d´interessi. E tutti l´hanno interpretato come un accordo sottobanco dei leader con Berlusconi».

E invece che cos´era?

«Mancanza di cultura moderna. Il conflitto d´interessi dovrebbe essere il pane quotidiano di un moderno riformismo».

E´ sicuro che si tratti soltanto di ritardo culturale e non anche di interessi più precisi?

«Ma no, ha ragione. Un sistema dove i politici accumulano cariche e prebende fa comodo anche a molti esponenti del centrosinistra».

Una leadership fragile, per nascita e ammissione, come quella di Franceschini, può fare la rivoluzione?

«A Franceschini bisogna riconoscere di aver fatto subito le cose giuste. Sul testamento biologico, per esempio. Paradossalmente i cattolici praticanti del partito sono sempre stati i più decisi nell´opporsi alle ingerenze dei vescovi».

Sulla crisi economica, quali sono le scelte nette da fare?

«Quelle tipiche della sinistra, la difesa dei deboli. Chi sono oggi i deboli? I giovani, anzitutto. I lavoratori delle piccole e medie imprese, ai quali bisogna garantire gli stessi diritti degli altri. Poi bisogna andare all´attacco dei privilegi. Il principale dei quali in Italia consiste della possibilità per grandi patrimoni di evadere il fisco. Le tecnologie per combattere l´evasione esistono e non vengono utilizzate».

Non è un discorso impopolare?

«Non per i lavoratori dipendenti e per gli imprenditori veri e onesti. Nella crisi avanza una gran voglia di tornare allo stato di diritto, come protezione, certezza, giustizia e garanzia di un futuro».

E´ convinto che i cittadini torneranno a credere in qualcosa piuttosto che in qualcuno?

«Lo spero. Perché se continuano a credere in qualcuno, vince sempre quello».

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