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Fisco digitale:Italia si muove e guarda semestre Ue

11.06.2014

Avviata indagine parlamentare. Boccia, è battaglia di equità

ROMA, 11 GIU - Da regno della libertà a regno dell'elusione, da frontiera dell'innovazione a frontiera senza controlli. Internet sta diventando una prateria dove le multinazionali del web, soprattutto americane, possono fare scorrerie in tutti i Paesi approfittando di una legislazione fiscale frammentata e ormai obsoleta. In Italia e in Europa sembra sia arrivato il momento di porre delle regole comuni alle capriole fiscali che generano concorrenza sleale con le aziende tradizionali. Aziende di broadcasting, aziende del turismo, aziende commerciali, aziende discografiche e cinematografiche si sentono vittime di un sistema fiscale che colpisce in modo diseguale. Ma cominciano a preoccuparsi anche i Governi che, in periodo di crisi, non si sentono più di chiudere un occhio di fronte a miliardi di euro non versati all'erario. È di inizio maggio la notizia della maxi multa da 1 miliardo che la Francia ha appioppato a Google per tasse arretrate non pagate. Ed è di oggi l'avvio dell'Indagine della Ue sui regimi fiscali applicati da Irlanda, Olanda e Lussemburgo a multinazionali come Apple. Oggi la Camera ha avviato un'indagine conoscitiva sul fisco digitale per arrivare a delle soluzioni anche alla luce della delega fiscale appena messa in cantiere. In prospettiva c'è il semestre italiano Ue nel quale l'Italia potrebbe giocare un ruolo chiave per arrivare a una soluzione comune anche sulla scorta delle conclusioni che l'Ocse portera' al G20 a fine giugno. "Dobbiamo creare un sistema fiscale, comune in Europa, che renda le imprese che operano sul web uguali a quelle tradizionali che stanno soffrendo una concorrenza sleale ancora più dura. È una battaglia di equita'" afferma il presidente della commissione Bilancio della Camera Francesco Boccia (Pd) da sempre impegnato sul fronte di quella che erroneamente viene chiamata Web Tax. "Non si tratta di una tassa in più ma di far pagare le tasse a chi non le paga. - aggiunge il parlamentare -. Si è calcolato che il commercio elettronico elude imposte su 20 miliardi di imponibile e ogni anno questo settore cresce del 20% togliendo ossigeno agli altri competitori tradizionali". L'ultimo richiamo alla politica perchè agisca presto è di oggi. Il presidente delle imprese radiotelevisive italiane Rodolfo De Laurentiis ha chiesto interventi contro i giganti del web che "restituiscono pochissimo al sistema Paese in occupazione e tasse. Noi chiediamo di poter competere ad armi pari con regole nuove ed eque". Mentre il presidente Mediaset Confalonieri parla, con citazione cinematografica, di "Nuovi mostri". Di mostruoso in effetti c'è la sproporzione fra i guadagni fatti in Italia e le tasse pagate allo Stato Italiano. Nel 2013 Google, Facebook, Apple, Amazon ed E-Bay hanno pagato all'Agenzia delle entrate 11,4 milioni di euro, bruscolini se si considera che la sola Apple Retail, nel 2013 ha generato in Italia un fatturato di 300 milioni e staccato all'erario un assegno di 3 milioni. La grande magia si realizza ponendo la sede in Irlanda (o nel Lussemburgo) considerando le attività in Italia come servizi forniti alla controllante di Dublino dove la tassazione è infinitamente più vantaggiosa e dove l'aliquota sulle società è al 12,5%. Ma una volta in Irlanda, i profitti possono rimbalzare facilmente via Amsterdam fino alle Bermuda. Fino ad ora, non si sono state reazioni efficaci da parte dei governi, e a muoversi è stata soprattutto la Guardia di Finanza che ha aperto un'inchiesta su Apple e Google. Il governo Letta aveva provato a elaborare una forma di tassazione dell'economia digitale, ma Renzi l'ha fatta ritirare in attesa di una soluzione comunitaria. "Su questo argomento temo che Matteo sia stato malconsigliato - afferma Boccia - disse che avrebbe voluto parlarne in Europa adesso è arrivato il momento. Con noi ci sono Germania e Francia dobbiamo solo avere la volontà di farlo". (Ansa).

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