RASSEGNA STAMPA

Chi fa affari in Italia paghi l’Iva

19.12.2013

da lastampa.it

Boccia, chi fa affari in Italia paghi l’Iva
Gentile direttore, in seguito all’articolo che Gianni Riotta ha dedicato al sottoscritto e alla cosiddetta web tax, approfitto della sua ospitalità per sottoporre ai lettori de La Stampa alcune personali riflessioni. Non ho certo le frequentazioni internazionali di Riotta ma mi sento cittadino di quello «strapaese» che non è, in alcun modo, contrario all’innovazione ma vorrebbe soltanto che vi fossero regole uguali per tutti. Occupandosi soprattutto di vicende statunitensi Riotta non considera, adeguatamente, quello che sta accadendo in Francia, Germania, Regno Unito dove i governi nazionali si stanno muovendo nella nostra stessa direzione: chi produce utili in un paese è giusto che versi le tasse in quello stesso paese. Addirittura quegli «strapaesani» dei francesi hanno deciso che Netflix, il sito americano di video streaming che conta 40 milioni di abbonati nel mondo, potrà liberamente sbarcare in territorio francese ma rispettando una sola e semplice condizione: la partita Iva francese.

Altri «strapaesani», poi, sono i magistrati della procura e gli investigatori della Guardia di Finanza di Milano che pensano che Apple possa - ipotesi ovviamente tutta da verificare - aver eluso tasse in Italia per quasi un miliardo. Ricordo che i profitti realizzati in Italia vengono contabilizzati dalla società di diritto irlandese Apple Sales International. Secondo la magistratura il ramo aziendale italiano non era e non è di supporto a quello irlandese ma una struttura commerciale operativa e autosufficiente. Che vende prodotti e incassa. Aggiungo anche che nel 2012 Google Italy ha versato all’erario soltanto 1,8 milioni di euro a fronte di ricavi pari a 52 milioni. E questo perché il suo fatturato era rappresentato quasi esclusivamente dai servizi prestati alla filiale irlandese Google Ireland che ha incassato, nel 2012, 50 miliardi di dollari. Amazon, sempre nel 2012, ha versato al fisco italiano 950 mila euro, Facebook ha lasciato all’Agenzia delle entrate 132 mila euro. Credo che in Italia si possa mettere ai voti tutto ma non la tabellina pitagorica.

La web tax tanto discussa in questi giorni è tutto tranne che una tax. Si limita a dire che le imprese che fanno affari in Italia devono avere la partita Iva italiana, esattamente come farebbero gli Stati Uniti se si trovassero in un’analoga situazione. Non c’è nessuna nuova tassa che colpirebbe qui in Italia le aziende americane ma sarebbe applicata la stessa imposta sul valore aggiunto che oggi pagano le imprese di Vercelli o di Salerno.
Sfogliando La Stampa ho notato, qualche pagina prima dell’articolo di Riotta, l’annuncio dell’accordo tra il vostro giornale e Google per la formazione di reporter e di ingegneri. Un’ottima notizia che va sostenuta anche dalla mano pubblica. Ma la formazione è una cosa. La giusta mercede, o il giusto dazio da versare al fisco, un’altra.
on. Francesco Boccia Presidente commissione Bilancio Camera dei Deputati

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